Nebbie e bruma qualche sera fa, che la Torre di Belloluogo sembrava poco più di uno spettro antico, fiero e decadente fra tante tombe sole e anonime del cimitero. 

Nel solito baretto schifoso, davanti all'ennesimo punch caldo e ovattati nei tepori dell'alcol, io e il mio amico Maurizio (cui rinnovo, anche in questa recensione, la promessa di tacerne il nome) realizzavamo che crescendo abbiamo perso la capacità di esaltarci follemente per l'80% almeno della musica che ci capita sottomano come succedeva, invece, quand'eravamo più piccoli. Un bene, un male... chissà!? Un nanosecondo prima di ripiombare nello sconforto più nero (che pure ci piace) ci siamo trovati almeno d'accordo, fra il serio e i faceto, che ormai un nuovo album dev'essere "bello" per forza se entro i primi dieci secondi ci ha fatto venire voglia di aprire una birra e cominciare a scapocciare come dei dementi. Ecco, ad esempio, "Mammons War" è davvero molto bello, ma non basta; perchè quello degli svedesi Count Raven è stato un come-back atteso così a lungo da far impallidire anche il doomster più incallito.

Tempi biblici per il rilascio di questa nuova fatica, targata 2009, ma l'estenuante attesa è stata onorevolmente ripagata. L'ultimo loro lavoro in studio, "Messiah Of Confusion", risaliva infatti addirittura al 1996, e cos'è cambiato da allora? poco...o niente, per fortuna! L'assalto di "The Poltergeist" è un pugno nei denti, una serie di riffs elementari e squadrati come il doom più classico esige si stagliano su una ritmica marcia e marziale. La voce è sgraziata al punto giusto; e aperture melodiche, arpeggi di chitarra o di basso, piuttosto che trame electro-ambient (la title-track, "Increasing Deserts"), o innesti tribal-folk (no, non sono impazzito, ascoltare la seconda parte di "A lifetime" per credere) contribuiscono ad aumentare un generale senso di solitudine e rassegnazione. Va bene così. Pur con queste "novità", è giusto accostare ormai il nome dei Count Raven ai mostri sacri del doom, Saint Vitus e Pentagram su tutti, ma anche i primissimi Cathedral e in parte gli Obsessed; ma l'aurea epica talvolta ("Scream", "Seven Days") richiama alla mia mente anche quel grandissimo album che fu qualche anno fa "Watching From A Distance" dei Warning.

Chi come me o Maurizio ha scoperto l'inganno che cova dietro la maggiorparte delle produzioni musicali odierne (senza riferimento a un genere in particolare) non faticherà altresì ad amare l'onestà di un disco come "Mammons War", soprattutto perchè, evidentemente, Dan Fondelius è un uomo sincero e che conosce bene il dolore. Per chi fosse interessato, allego il link di una sua recente intervista in cui spiega anche il significato dei versi di "To Kill A Child" ("Why, oh why, must this world force me to kill my child/ I can no longer hide, the eternal pain that I feel inside"). R.I.P.   

 

Carico i commenti...  con calma