I Covenant (da non confondere con l'omonima black metal band norvegese) sono un trio svedese che, assieme ai colleghi Apoptygma Berzerk e VNV Nation, è collocabile, a merito, nel gotha di quel genere che ambiguamente viene denominato future pop.

Evidenti le reminiscenze ereditate dal synth-pop ottantiano dei Depeche Mode, rielaborate dai Nostri in chiave electro-goth/EBM.

"Synergy: Live in Europe", registrato nel 2000 durante il tour di "United States of Mind" (probabilmente il lavoro più rappresentativo della band) è un ottimo compendio di quanto compiuto di buono dal trio nei primi anni di attività. Totalmente tralasciato l'album di debutto, l'acerbo "Dreams of a Cryotank" (del 1994), la registrazione raccoglie brani da "Sequencer" (1996), "Europa" (1998) e dal già citato "United States of Mind" (2000), dando comprensibilmente maggiore rilievo a quest'ultimo, l'album che il tour era stato chiamato a promuovere.

"Synergy" funge così da ideale best of della band scandinava, riuscendo nell'intento (insolito per una performance a base di musica elettronica) di coniugare la riproduzione di suoni sintetici e l'energia tipica di un appuntamento live.

I pezzi vengono rivisitati alla luce dell'esperienza maturata negli anni e rieditati attraverso suoni più moderni ed arrangiamenti maggiormente maturi, tant'è che a tratti ci appaiono anche meglio delle versioni registrate in studio. Non per questo c'è da aspettarsi un'esecuzione fredda e meccanica, e questo per merito principalmente del carisma del vocalist Eskil Simonsson (veramente in palla quella sera a Bochum), che non solo ci consegna una prestazione impeccabile da tutti i punti di vista, ma che si rivela anche e soprattutto un vero animale da palcoscenico, mai sazio di incitare ed aizzare il pubblico in preda al delirio.

Dietro di lui, alle rispettive consolle, Joakim Montelius e Clas Nachmanson, due macchine da guerra rigurgitanti beat e suoni senza soluzione di continuità: la musica dei Covenant è la locomotiva kraftwerkiana che deraglia dall'alienazione di un mondo dominato dalla tecnologia per approdare agli eccessi di un club notturno. Intrisa di cultura techno, la musica dei Covenant è una musica mai auto-indulgente, al servizio dell'intrattenimento delle menti e dei corpi, le prime stimolate dalle accattivanti costruzioni sonore e dall'intelligenza dei passaggi melodici; i secondi sollazzati dal martellare incessante delle ritmiche, varie, incalzanti ed in continua evoluzione.

Rispetto ad altri artisti della scena, i Covenant dimostrano nei fatti di conoscere in profondità i ferri del mestiere, mentre una classe sopraffina ed un'eleganza fuori dal comune completano il quadro.

Cosa desiderare di più? Forse forse, un pizzico di originalità. Perché se c'è da fare un appunto ai Nostri (l'unico), questa critica sta nel fatto che la loro musica ci appare eccessivamente debitrice dell'arte di Martin Gore e compagnia, complice soprattutto la (bellissima) voce di Simonsson, molto vicina, per timbro, tonalità ed intensità espressiva, a quella dell'inarrivabile Gahan: una performance vocale, la sua, che va ad evocare pressoché in ogni singolo istante lo scomodo fantasma dei Depeche Mode, punto di riferimento imprescindibile per la musica dei Nostri.

Si parte con "Tour de Force" (dall'ultimo album) per seguire con classici come "Feedback" e "Flux" (entrambe da "Sequencer"). Inutile dilungarsi sulla scaletta: i brani, vecchi e nuovi, scorrono tosti ed orecchiabili, la noia non dimora da queste parti, questo è certo, e momenti vagamente più introspettivi ("Helicopter", per esempio) vengono impietosamente fagocitati dal correre di pezzi incalzanti ed animati da refrain decisamente accattivanti (incredibile il terzetto "Go Film", "Tabula Rasa" e "I Am"), fino a culminare nella trascinante "One World One Sky", gran finale con i controfiocchi, vero anthem da stadio, impreziosito da una fugace citazione dei Chemical Brothers ("Hey boys, hey girls, here we go!") a rimarcare l'amore, mai celato peraltro, per la dance nella sua forma più tamarra e scanzonata!

Tempo di bis: si torna sul palco, subissati dal clamore di un'audience trepidante, con cavalli di battaglia del calibro di "Wall of Sound", "Stalker" e "Babel" (in particolare la prima, spudoratamente ispirata agli umori sincopati e bombastici della celeberrima "Personal Jesus" dei DM, va a rivelare la magia inestinguibile di un sound concepito e forgiato per far muovere il culo e trascinare i cuori!): una terna, questa, chiamata a concludere nel modo più congeniale che ci possa essere questi oltre 70 minuti (ben 14 i brani riproposti!) che difficilmente deluderanno gli estimatori del beat rovente, e che vanno a confermare il valore di una band che finisce per costituire un passo obbligato per gli amanti di quelle sonorità che rispondono al nome di future pop.

Per chi conosce a memoria la discografia dei Depeche Mode e non gli basta mai...  

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