Quanti anni sono passati non lo so, o forse non lo voglio sapere. Roma, una sera di luna, sicuramente, il concerto è appena finito. E io sono li, la aspetto vicino all’autobus che la riporterà in hotel. Arriva, si avvicina a me, mi ero promesso di farlo, di dirle quelle parole, ci avevo tanto pensato. I sui capelli lunghi, il suo sguardo di tenera cowgirl (passatemi il termine) sospesa fra la terra e la luna, si avvicina e mi guarda, sento qualcuno dietro che mormora: “your fan is waiting for you”. E io si che la stavo aspettando. Per vederla, per parlarle. Ma la scimmia della mia timidezza decide ancora una volta di saltarmi addosso e guastare tutto, perciò, con uno sguardo che immagino fra il beota e l’insulso, riesco solo ad osservarla in silenzio salire sull’autobus, mentre lei mi lancia nell’aria la dolcezza di un sorriso, fra il riconoscente e il compassionevole.

Margo Timmins, where are you tonight ? prendendo a prestito uno dei titoli dell’album.

Una delle voci più eteree e sensuali di tutta la storia della musica, e non esagero.

Saper accendere la dimensione del sogno, trasformare l’esistente, è quello che ho sempre cercato nella musica. Sentirsi trasportati in un’altra dimensione, in un mondo parallelo. E ci sono tante forme di musica che mi hanno dato accesso a questo, anche molto diverse fra loro. Fra di esse c’è la dolcezza mai stucchevole di questo gruppo canadese, che sa dipingere con grande intensità emotiva note dai colori languidi e soffusi, ma sempre veri, con ritmi morbidi e pacati, che si sintonizzano magicamente sulle frequenze dell’anima, del corpo, della natura, del mondo, come pochi hanno saputo fare. Perché il ritmo della terra, il nostro ritmo, è brachicardico, questo è certo. Poi noi possiamo farlo accelerare quanto vogliamo, iniettarlo di adrenalina, ma tutto ciò non è sostenibile, è un artificio.

L’apertura di questo doppio CD live è la splendida cover del brano Blue Moon di Elvis (che è a sua volta una reinterpretazione di quella che è una vera e propria popular song), dove il basso e l’armonica sono l’humus sonoro nel quale si materializza il calore sinuoso della voce di Margo che sussurra:

Forse nel nuovo sole di maggio
il mio bambino torna tra le mie braccia
lo terrò accanto a me
Rivoglio il mio bambino con me
perché è il mio vero amore

A seguire, Two Hundred More Miles, delicata ballad che ci narra di un lungo sogno inseguito, verso un obiettivo forse inesistente per gli altri, ma non per chi lo vede, ed è pronto a raggiungerlo, in fondo ad un viaggio notturno, lungo 200 miglia di pioggia asfaltata:

Dicono che sono pazzo
ma non cambierei tutti i tuoi domani d'oro
per un'ora di questa notte
spaventato o morto e infreddolito
ma ho sentito che c'è una luce
mi trascina a raggiungere una fine

Sun Comes Up, It's Tuesday Morning è il risveglio il giorno dopo un addio, in bilico fra la constatazione amara della perdita e l’ineluttabilità di una scelta necessaria, e il sole sorge ancora, dritto negli occhi.

Where are you tonight ? è una dolcissima nenia librata nel cielo di un mondo in cui la speranza riesce ancora a volare, oltre ogni cima, e il sospiro di Margo ci soffia ancora il tema del sogno, della ricerca di ciò che ci liberi, della volontà di non arrendersi alla mediocrità del normale:

Quando ti ho lasciato nei miei sogni la scorsa notte
mi hai promesso che ci saremmo liberati
Dove sei stasera ?
Mi racconti delle strade secondarie
e come guideremo tutta la notte
come i giorni svaniranno e la luna rimarrà sospesa per sempre

e la nuvola di polvere che solleveremo rimarrà come una canzone
E crescerà il mito sui due che hanno rifiutato di arrendersi

La cover di Sweet Jane di Lou Reed è un serpente che si avvita inesorabilmente sui tuoi pensieri, o su ciò che credi essi siano, incurante del fatto che lui ti sta lentamente portando la luce, o la morte (la differenza in effetti non c’è), mentre Lost my driving wheel ci racconta che quel viaggio (si è lo stesso), si è improvvisamente interrotto, ma per una ragione ben precisa:

La mia macchina si è rotta in Texas
si fermò di colpo sui suoi passi
Ho chiamato solo per dirti che ho bisogno di te
Ho chiamato solo per dirti come mi sento
Mi sento come un vecchio motore che ha perso il volante
Un vecchio motore che ha perso la ruota motrice

Misguided angel forse ci svela qual’era l’obiettivo, qual’era la missione, inseguita miglia dopo miglia:

Angelo fuorviato che pende su di me
Cuore come un Gabriele, puro e bianco come l'avorio
Anima come un Lucifero, nera e fredda come un pezzo di piombo
Angelo fuorviato, ti amo finché non sarò morto

Un incedere suadente, ipnotico, malinconico, a volte catatonico, narcolettico, alternato ad alcune più distese cavalcate sonore, nelle quali i Cowboy Junkies di­mostrano ancor di più il loro pregevolissimo livello di fini musicisti. Slowcore, lo chiamano quelli bravi. E quando nel 1994 i Low, tra i padri fondatori di tale stile, pubblicano il loro primo album capolavoro “I could live in hope”, dove basso e chitarra si attorcigliano in una spirale vorticosa che illumina i 9:46 minuti di pura ipnosi sonora di Lullaby, allora i Cowboy Junkies avevano già tracciato la strada, i maestri sono loro. Nel dipingere un’umanità che vive, soffre, ama, e ricuce gli strappi del dolore con la tensione del sogno, con la forza evocativa del pensiero, seguendo l’onda magica di una vibrazione lenta, che riporta i battiti all’essenza, a ciò che la semplicità ci dona, a quell’atto di spontanea e calda empatia che si sprigiona dal sorriso di un essere umano.

Come il sorriso di Margo.

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