Gli Horror/goth/death metal Cradle of Filth tornano in tempo per i festeggiamenti di Halloween con il loro nono album "Darkly Darkly Venus Aversa".
Ci sono degli schemi musicali che non diventano mai fuorimoda, e le band che adottano questi schemi come base per le loro uscite possono poi crogiolarsi in carriere longeve e di successo, e penso che i Cradle of Filth rientrino in questa schiera visto e considerato che non hanno mai cambiato direzione rispetto a quella intrapresa con Vempire, nonostante ovviamente dei cambiamenti, tutt'altro che radicali, si siano fatti notare nel sound prima con "Midian" e poi con "Thornography", (dovuti anche al fatto che la band ha cambiato più di 20 musicisti) rendendone le stesse canzoni più appetibili all'ascoltatore e intaccandone anche l'aspetto della produzione attraverso delle sonorità più nitide. "Godspeed on the Devil's Thunder" segnava invece un riallacciamento col lato più veloce ed aggressivo del gruppo, preparando la strada a quest'ultima fatica che ne è il gemello più bello, per così dire. La cosa che trea immediatamente l'attenzione iniziando l'ascolto è l'assenza di intro e interludi vari sinfonici, ma a parte questo il trademark è sempre lo stesso, solo velocizzato grazie al buon Martin Skaroupka alla batteria.

La tempesta inzia con "The Cult of Venus Aversa" terminando con "Beyond the Eleventh Hour", e diminuisce d'intensità solo con "The Persecution Song" e "Forgive Me Father (I Have Sinned)"; c'è però da annotare che l'impressione è che nessuna di queste possa spiccare nettamente rispetto alle altre, cosicché a lungo andare è possibile essere assaliti dalla nostalgia verso quei passaggi lenti e maestosi, interludi a sorpresa e variazioni nel mood a cui la band aveva abituato il pubblico.
Il primo singolo estratto, “Forgive Me Father (I Haved Sinned)", sembra abbastanza una goth-opera, con un miscuglio dato dalle vocals di Dani Filth (più pulite rispetto ai precedenti lavori) e quelle high-pitched femminili che lo implorano di adorarlo, con chitarre e percussioni più in linea con l'hair metal anni '80. E “Lilith Immaculate” è pressoché la stessa cosa, se non meno "diluita" è più violenta, ma con lo stesso accompagnamento femminile e background da collonna sonora eseguite dalla moglie del produttore Scott Atkins, che devo dire colgono nel segno al pari dei riff.

I quattro pezzi che aprono il disco sono invece come da tradizione composti da percussioni violente, chitarre non pienamente udibili e dalle ginnastiche brutal di Dani a proposito di avvelenamenti, impiccagioni, un pizzico di stupro, altri avvelenamenti e spargimenti di sangue; del resto non posso negare di trovare i concept in qualche modo noiosi. In questo caso parliamo di uno dei loro soggetti preferiti, ovvero la povera Lilith, nonché funesta prima moglie di Adamo, addentrandosi nei meandri storici e nell'abisso torbido e nauseabondo dove Lilith attende la sua vendetta su uomini, donne e tutti coloro che hanno denigrato la sua bellezza di porcellana. I testi va detto sono ben articolati e coloriti, oltre che rabbiosi, merito del William Wordsworth del black metal mainstream, il cui vero nome è Daniel Lloyd Davey. Da "The Persecution Song" in poi si riscontra poi un alleggerimento/dilungamento dove le influenze gotiche trovano spazio nelle composizioni rendendole maggiormente melodiche; solo per un pò, fino a "Deceiving Eyes", un'altra tempesta da affrontare reggendosi forte.

Gli unici difetti che ho riscontrato riguardano i riff in parte stagnanti che nonostante il disco trasudi carnale malevolenza fino ai canini, semplicementi non rimangono impressi. Sulla produzione oggettivamente non c'è nulla da dire per tutte le varie componenti che non risultano mai troppo pompose o eccessivamente patinate. Il giudizio finale spetta poi a ciascun acquirente del disco; a mio avviso si tratta del disco più bello che abbiano realizzato dall'Halloween del 2000, ossia da Midian.

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