Sono trascorsi appena due anni da "Thornography", disco aspramente criticato per il suo approccio più "pop" e melodico rispetto ai predecessori (personalmente lo ritengo comunque un album bellissimo che punta molto sull'immediatezza dell'impatto, forse il migliore per cominciare a muovere i primi passi nell'oscuro e affascinate labirinto musicale e letterario dei COF) e quella che io definisco la mia Filthy Honeymoon con questa band si rinnova, si rinnova con un disco impervio, roccioso, possente, oscuro, un fulmine a ciel sereno che solca i cieli del 2008, facendosi beffe della morte magnetica, della morte che separa, dell'inferno delle banalità e pure dei profeti di sciagure che più nulla hanno da profetizzare*

"Godspeed On The Devil's Thunder", la Culla dell'oscenità che torna al concept album e rinnova la propria formazione: confermato il frontman Dani Filth (e ci mancherebbe altro...), confermato il bassista Dave Pybus, arrivato al suo quarto disco con i Cradle, Paul Allender, pilastro portante dei Cradle troppo spesso ignorato e sottovalutato rimane l'unico chitarrista in formazione (che ritorna così a 4 elementi come in "Damnation And a Day" e alla batteria fuori lo svedese Adrian Erlandsson e dentro il ceco Martin Skaroupka, che svolge un lavoro a dir poco superbo, appena un gradino sotto l'inarrivabile Nick Barker.

A dieci anni di distanza da "Cruelty And The Beast" la penna del Bardo torna a scavare nei meandri di una mente malata, nei pensieri e nell'animo di un assassino, di un serial killer, non più la contessa ungherese Elizabeth Bathory ma il nobiluomo francese Gilles de Rais, prima condottiero, fervente cattolico e compagno d'armi di Giovanna d'Arco e poi depravato e sadico Cesare del proprio tragico impero, un impero fatto di stregoneria, riti satanici e perversioni, che lo porterà nel 1440 alla morte per impiccagione e al tentativo, fallito, di cancellarne completamente la memoria, che sopravvivrà nelle leggende e nella tradizione popolare sotto il nome di orco Barbablù.

L'Opera inizia con la consueta overture strumentale, "In The Grandeur And Frankincense Devilment Stirs", non più un crescendo arcano come la precedente "Under Pregnant Skies She Comes Alive Like Miss Leviathan" ma una marcia cadenzata, cupa e opprimente che esplode in uno stupendo riff accompagnato da una formidabile scarica di batteria ad altissimo voltaggio: così si manifesta l'opener "Shat Out Of Hell", che introduce il personaggio di Gilles de Rais: la canzone sfodera una grinta assolutamente strabiliante; potenza sonora calibrata al punto giusto, a cui si aggiunge una generosa dose di quella che Luca Turilli chiamerebbe nera epicità , con un Dani Filth in forma strepitosa che riesce come sempre e a trascinare l'ascoltatore tra gli scenari evocati nelle sue rime grazie alla sua versatilità vocale e al suo carisma che non ha assolutamente eguali in ambito extreme metal. Il punto melodicamente più alto è raggiunto però con la successiva "The Death Of Love", ovvero la morte di Giovanna d'Arco, che segnerà Gilles per il resto della sua esistenza raccontata con uno stile a metà tra "Nemesis" e "Nymphetamine": della prima ha l'impatto emotivo e l'epicità, della seconda il sublime pathos, la carica struggente e il duetto con una bella voce femminile, tutti questi ingredienti vengono sublimati e amalgamati alla perfezione da uno straordinario Paul Allender che con la sua chitarra dà vita una delle melodie più orecchiabili, passionali e coinvolgenti della sua carriera. La parentesi melodica dura però poco, perché con "The 13th Caesar" l'atmosfera assume contorni più cupi, più claustrofobici e malati, grazie agli inquietanti cori che introducono la canzone a accompagnano il ritornello. Gilles de Rais ha ormai deciso di abbandonare la luce, ritirarsi nel suo castello, alla ricerca di nuovi piaceri che possano sostituire l'amore perduto: l'ombra del Maligno si allunga sulla sua esistenza, e noi siamo pronti ad addentrarci nel cuore nero dell'album...

Violini e cori sempre più sinistri accompagnati dal suono di un carillon: questa è "Tiffauges", l'overture della seconda parte dell'album, che esplode e mostra tutta la sua truce intensità nelle due successive canzoni, "Tragic Kingdom", magistralmente accompagnata da stupende orchestrazioni gotiche e "Sweetest Maleficia", più cruda e diretta, veri e propri esempi di quello che io ritengo essere il vero black metal, quello che esplora gli abissi dell'anima, che si addentra nell'oscurità e la trasmette con versi di altissima, purissima e nerissima bellezza, e non quello che si limita a dire quattro minchiate in croce sulla grandezza di satana o altre amenità di questo genere...

Siamo così giunti a uno degli episodi più entusiasmanti dell'intero concept: "Honey And Sulphur", aperta e chiusa da un'inquietante coro in latino, che si rivela essere un irresistibile tempesta emozionale in cui Dani Filth, Paul Allender e Martin Skaroupka infuriano come la tormenta in una notte d'inverno. L'oscurità raggiunge il culmine con le due suite "Midnight Shadows Crawl To Darken Counsel With Life", in cui furia e perversione si contaminano nell'alternarsi di riffs forsennati e momenti di scura melodia, che culminano con un meraviglioso intermezzo pianistico che cresce e acquisisce forza trasformandosi in un crescendo chitarristico e soprattutto la morbosa "Darkness Incarnate", in cui si arriva finalmente alla descrizione dei crimini più atroci di Gilles de Rais: la discesa verso l'inferno raggiunge finalmente la sua meta conclusiva: l'atmosfera è sempre più pesante e quasi asfissiante, in racconto del Bardo si fa sempre più macabro e allucinato, il muro sonico Allender-Skaroupka è sempre più duro e impenetrabile, poi tutto svanisce, il mostro viene finalmente smascherato, l'atmosfera da macabra diventa quasi riflessiva, la fine per Gilles de Rais è quasi arrivata, e la redenzione avviene con "Ten Leagues Beneath Contempt", prima che il destino si compia con la titletrack, "Godspeed On The Devil's Thunder", aperta da un coro liberatorio: è una canzone dura, rocciosa e solenne per il commiato finale del mostro, che sfuma nell'outro "Corpseflower", che appone la parola fine alla vicenda terrena di Gilles de Rais e all'ottavo album della Culla dell'Oscenità, che aggiunge così l'ennesima perla che impreziosisce ulteriormente una collezione di valore inestimabile.

"Godspeed On The Devil's Thunder" non è un album facile, forse per la prima volta nella sua carriera Dani Filth si confronta con il tema della malvagità pura e fine a se stessa, senza contaminarla con elementi fascinosi come la passione vampirica a lui tanto cara, e il risultato finale non poteva che essere un disco così, cupo e a tratti crudo, ma terribilmente affascinante, che aggiunge una sfumatura di nero puro a quell'affresco infinito che i Cradle Of Filth cominciarono a dipingere del lontano 1994 e che, fortunatamente, è ancora lontano dall'essere concluso.

*Rif. Metallica-Death Magnetic, Deicide-Till Death Do Us Part, Venom-Hell, Judas Priest-Nostradamus.  

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