C’è un malato di mente, nello stato di New York, che s’è messo in testa di riportare in auge gli anni ’80. Da quando si è messo a fare il produttore Mike Sniper, forte della sua consacrazione a genio dell’indie rock newyorchese, ha deciso di orientare diligentemente la produzione musicale indipendente della sua etichetta lungo lo stesso percorso già battuto in lungo e in largo dai Blank Dogs. Ora, si tratta soltanto di capire se complimentarsi per la scelta stilistica o se prendersela con lui per avere riciclato -praticamente all’infinito- un’idea abbastanza banale.

Prendete, per esempio, i Craft Spells: "Idle Labor", il titolo dell’album; copertina da New Order, suono da New Order barra The Cure barra qualunque-altra-cosa-riconoscibile-in-quel-contesto-musicale, durata media dei brani concentrata sui due minuti e mezzo, con la sola differenza dell’atmosfera che, nella migliore delle declinazioni indie rock, diventa più simpatetica e solare. Fatta la recensione in quattro righe (e pure presuntuosa e infarcita di etichette). E’ un bene? E’ un male? Dipende da quanto siete affezionati al genere. Il disco è forte, come proposta è più che valida, roba che se lo metti in cuffia e sei in grado di non annoiarti troppo facilmente, lo puoi ascoltare ancora e ancora. E’ un lavoro abbastanza facile da seguire, che ricorda tante cose e suona meravigliosamente lo-fi (visto il ritorno di fiamma che sembra aver assalito l’ultima produzione musicale, e pure l’espressione “meravigliosamente lo-fi”, ripetiamo insieme).

Non siete ancora convinti? Concedetevi almeno un ascolto. I Craft Spells sono bravini, nonostante abbiano a che fare con l’esatto contrario della novità, riescono a farlo suonare maledettamente originale ed orecchiabile. Dipende da come la prendete, ripeto. Se siete ben disposti, gli undici pezzi di Idle Labor non suoneranno “tutti uguali”, ma assumeranno ciascuno il suo tono peculiare. Gioca anche l’impatto nostalgico. “From the Morning Heat” vi ricorderà gli Smiths; “After The Moment” si presta a fare la fine di “Just Like Heaven” versione sorridente, “Party Talk” arriva ad attingere languidamente alla psichedelia a basso costo. Tutto carino e al posto giusto. Tutto già visto e sentito, per questo funziona. Senza pretese eccessive. Come la recensione, insomma.

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