Nonostante io non sia mai stato un ascoltatore particolarmente dedito alla ricerca del sound tipico del black made in Sweden, devo dire che appena inserito nello stereo questo dischetto non ho potuto che innamorarmi del modo di suonare di questi quattro ragazzi.

C’è anche da constatare però che, a dispetto della loro provenienza geografica, le sonorità dei Craft non richiamano nella maniera più assoluta i vari Marduk e Dark Funeral, anzi, durante i quaranta minuti scarsi di assalto sonoro le influenze di queste band sono per lo più nulle. Al contrario i musicisti creano un sound molto personale, debitore comunque ai padri norvegesi, Satyricon su tutti, mantenendosi in linea generale su ritmi non velocissimi, ma con sprazzi di furia inaudita e mid-tempos che raggelano totalmente l’ascoltatore.
Il genere proposto è quindi un black metal scarno ma assolutamente ben prodotto, comunque non molto innovativo: sicuramente un prodotto di questo tipo avrebbe avuto molto più senso negli anni novanta che non nel 2002, data della sua uscita, ma del resto il gruppo si è formato nel 1994, dando alla luce il loro primo disco “Total Soul Rape”, ma problemi di formazione l’hanno dilaniato fino al 2000, ritardando così terribilmente il parto di Terror Propaganda.

I Craft non perdono tempo con intro e urla di rito: parte subito il riff gelido di “Ablaze”, song assolutamente Darkthroniana, del periodo di “A blaze in the northern sky”; il drumming è ossessionante, ma la cosa che colpisce di più è la spettrale voce del singer Nox, molto personale, magari non potentissima, ma raccapricciante; mi riesce difficile fare un paragone con qualcuno, ma dovendo, la accosterei a quella di Nattefrost, però molto più stridula e maggiormente amalgamata nella struttura della canzone.
Da notare che, raramente durante il disco, allo screaming acuto del buon Nox si affianca un growling appena accennato che contribuisce a rendere il tutto molto evocativo. “The Silence Thereafter”, canzone dal testo molto interessante, cresce lentamente mantenendosi sulle coordinate stilistiche della precedente senza particolari picchi di interesse. Sfuma dopo sei minuti per lasciare posto alla interessantissima “Reaktor 4”, song che parla appunto dell’incidente di Chernobyl; in questa canzone i Craft si evolvono, la voce diventa più potente, la batteria detta un ritmo atipico e alla fine il chitarrista John si lascia andare persino in un assolo!

Hidden Under the Skin” è una canzone molto ritmata che presenta degli stop and go raggelanti e dei riff cadenzati alla Carpathian Forest. Parte poi “False Orders Begone” dal ritmo lento e dalla cadenza tipica del gruppo di Satyr; stop and go anche qui si alternano ad accelerate e di nuovo un mini assolo conclude il tutto. E’ la volta di “N.D.P.” - Nearly Dead Parasites - che non si discosta molto dal resto del disco, scorrendo piacevole per tre minuti.
Si arriva così ad una delle canzoni più belle del disco, ovvero “616”, che è anche la più sperimentale; essa si apre infatti con un riff preso direttamente dalle scuderie del thrash, un riff che potreste trovare assolutamente in un disco degli Slayer, per poi sfociare in un ritmo ossessivo e lento che accompagna l’ascoltatore fino allo sfumare della song e l’assenza di cantato non si fa assolutamente sentire.

Chiude il tutto la title-track che ancora una volta ricorda i primi Carpathian Forest nel suo ipnotico avanzare lento e morboso, interrotto sovente da lunghi acuti di chitarra accompagnati dalle urla inumane di Nox, che creano momenti in cui la sofferenza e il disagio pervadono il cervello di chi ascolta. Il disco è bello e si fa apprezzare fin dal primo ascolto; sicuramente non si tratta di materiale di facile reperibilità ma, a quel che so, lo stanno stampando ancora in quanto sembra che i Craft godano di molta fama tra i blacksters statunitensi.

Consiglio quindi l’ascolto a tutti gli amanti del genere e sicuramente l’acquisto ai più nostalgici tra voi. L’arte espressa dai Craft è genuina e si nota che i quattro musicisti sono assolutamente al di dentro delle tematiche affrontate e che il disagio espresso tramite la loro musica è parte di loro e non frutto di chissà quali atteggiamenti studiati a tavolino, come ormai purtroppo sempre più spesso capita all’ interno della scena.

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