Un gruppo che nasce sulle rive del Po e che prende il proprio nome dal fondatore, Massimiliano Cranchi, che, nonostante il ruolo di leader e principale autore dei brani, ama vivere e condividere la propria musica con il resto della band, una formazione aperta ed elastica con alcuni membri fondamentali, tra cui Marco Degli Esposti, già con The Great Northern X e La Notte Delle Streghe, che condivide con Cranchi voce e scrittura dei brani.
Il suono e la voce dei Cranchi è proprio la fusione delle voci dei due, armonizzazioni che richiamano alla tradizione italiana come alla musica popolare delle zone tra Emilia, Lombardia e Veneto.
“Non Canto Per Cantare” però è allo stesso tempo un disco moderno e contemporaneo, rock e a volte anche world, con un'attitudine che può ricordare i Gang di “Le Radici E Le Ali”, senza però copiarne in alcun modo la forma.
“Il Cantico” apre il disco ed è un'ondata di emozioni, un brano come questo non sfigurerebbe nel repertorio di De Gregori o Guccini e non è un'esagerazione dire che non ne scrivono così da anni.
L'album però non si ferma qui, il viaggio prosegue nella maniera più ostica e meno compiaciuta con “11 Settembre 1973” che parla del golpe cileno in cui fu deposto e assassinato il presidente Salvador Allende, una narrazione storica e anche critica della politica americana di allora fatta però con sonorità che mostrano un amore per le tradzioni roots, secondo la lezione di Massimo Bubola nella sua collaborazione con De Andrè.
Sono tanti i momenti politici o semplicemente di impegno civile della band, e a volte può sembrare straniante sentire una band poco più che trentenne affrontare argomenti che furono di artisti come Stormy Six, ovvero storie di un'altro mondo, un'altra epoca e un paese diverso.
Non c'è solo questo nella poetica dei Cranchi e il loro meglio forse lo rendono proprio nei momenti più intimisti e personali, quando si scollano di dosso il costume dei cantastorie per andare a raccontare la loro epoca, la contemporaneità.
“Dove Sei E Dove Vai” riporta alla spensieratezza degli anni dell'Università, a un amore che non c'è più, come sono toccanti “Giulia” e “Mia Madre E Mio Padre.
Ci si affeziona alla s sibilante di Massimiliano Cranchi, a qull'accento della bassa che non fa nulla per nasconderlo, a una voce non impostata, non da cantante, come poteva essere quella di Claudio Lolli, eppure viva e coinvolgente, e grazie alla parola, le debolezze diventano un punto di forza.
C'è poi un omaggio diretto a Victor Jara, cantautore cileno, anche lui vittima delle violenze di Pinochet di cui viene ripresa “Mariposa”, in un commuovente adattamento in italiano. In un'epoca come questa in cui anche il semplice pop italiano con storie da eterni studenti fuoricorso e due accordi presi dal songbook di Rino Gaetano, due da quello di Lucio Battisti, un disco come questo, in cui accanto a brani più accessibili ce ne sono altri totalmente anti-commerciali, è qualcosa di raro e prezioso.
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