Nel lontano 1989, i fratelli Shaw come un robottino Bimby al servizio dei consumatori più esigenti centrifugavano stili e linguaggi miscelandoli a ciò che di buono la mamma aveva dato loro, ovvero talento puro senza se e senza ma.
Questo Extended Play comincia a ragionare dai suoni di batteria dei Joy Division di Closer facendo a meno della fretta disperata tipica del drumming post-punk, bensì rallentando, scomponendo il ritmo, ancora, ancora e ancora...
Il tutto preso e passato dentro il campionatore: rullate in reverse di stampo akai, reverberi col codazzo che fanno si eitiis ma che sono così poco gheiis che per un attimo quasi rabbrividiamo.
L'inizio è già forte anche se solo strumentale, infatti in "One from the Slum" si trovano tracce dei Japan e dei già citati Joy Division, i suoni si aggiungono uno sull'altro in un arrangiamento futurista.
Ma dov'è il genio? E' nelle linee di basso e dove sennò? O meglio nell'equilibrio perfetto/precario che i Cranes riescono a infondere alla sezione ritmica. Cadenzata e ipnotica, ora corda plettrata di elettrico con super attacco da compressione, ora tonopuro di sintesi effe-emme e/o analogica aspettano il rintocco della Kick drum che arriva puntuale allo scoccare della solita mezzanotte.
"Joy Lies Within" inizia proprio così: un riff di basso su una ritmica irregolare (quanti/quarti non si sa...), distorsioni granitiche, voce aliena(ta) e via così.
In "Heaven or Bliss" si odono invece strani suoni di chitarra mai sentiti prima (nylon+fuzz+echo cavernicolo? maybe...).
Eppoi c'è il lato B dove incursioni sintetiche fanno da contrappunto alla calma delle toniche della chitarra basso, secche ma con un tot di rilascio, a calmare le acque. La voce di Alison, tipo nenia, quasi atonale, spesso all'unisono con l'elettrica del fratello dà luogo a dissonanze dal sapore più incestuoso che ancestrale, e quindi belle-belle.
Nella traccia 4 "Beach Mover" la sorella se la canta in una grotta mentre Jim le fa eco da un anfratto non necessariamente comunicante con le sue corde darkabilly.
"Focus Breathe" è già fiko come nome ed è inutile aggiungere che qui i toni diventano sussurrati ma si vola sempre alto.
In "Fuse" l'elettrica si fa sottile e il cantato si ripete, tutto il resto è cesello.
Fortuna vuole che il disco dura il giusto cioé poco più di venti minuti, solo la voce, sempre monolitica, monotimbrica e monogama rischia un attimo di farci stancare l'orecchio che fino a questo punto ha avuto di che godere.
Gothic per chi se ne intende dunque, per chi ama flirtare con l'alternative rock, per chi c'ha il vizietto dell'elettronica, per chi in buona sostanza ama la musica buona a 360 gradi fahrenheit.
La ristampa su cd uscita postuma è allungata quanto basta con del materiale inedito comunque all'altezza.
Cinque secco, su tutte le ruote. Compratelo.
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