Dannato mestiere quello del recensore. A volte è facile (e anche divertente, tutto sommato), perché, magari, ti ritrovi per le mani un disco di merda e lo stronchi insultando, gratuitamente, la band sfigata di turno. Accade, spesso, il caso contrario: un’opera subito ti ammalia e ti coinvolge. Al che sai che potrai elogiarla.

Il tutto, invece, si dimostra sempre assai arduo quando hai a che fare con qualcosa che non sai davvero come classificarla, se nel bene o nel male.

In verità questi Criminal possono essere facilmente etichettabili come una band di thrash-death metal, di chiara matrice ispiratrice “made in Bay Area” ma, al contempo, forti di un sound molto contemporaneo e, quindi, dal “sapore” moderno. Forse troppo.

Partendo dal presupposto che di questa band conosco poco, non potrei formulare un giudizio molto oggettivo. Però potrei, comunque, formularne uno in merito a questo “White Hell”, disco che, decisamente, è suonato egregiamente, cantato meglio e divinamente prodotto.

Insomma: le carte per spaccare ci sono tutte. Una band che, certamente, gode di ottime potenzialità per poter infrangere il muro del suono all’interno di un settore, quale il thrash metal, che, oggigiorno, sembra essere sempre più stantio e, sfortunatamente, alla frutta. Un genere musicale dal songwriting molto piatto e derivato. Poco originale. Ma, tuttavia, assai lodevole tra i suoi adepti.

Essendo io un thrash metaller di vecchia scuola, all’inizio, non ho potuto che gioire ascoltando, la prima volta, “White Hell”. Perché, sin dall’opener “21st Century Paraoia” ascolto una band con tanta ma tanta incazzatura in corpo e con la voglia di mettere a ferro e fuoco l’intero pianeta che, a ‘sto punto, non so che cosa gli abbia mai potuto fare.

Insomma, tutto procede alla grande, scorrendo tra le varie “Bastardom” (il cui nome commenta di per se la song), “Crime And Punishement”, “Black Light” o, ancora, “Incubus”. Giungendo, al fin, alla conclusiva “Sons Of Cain”

Ottimi riff, rocciosi e dannatamente spacca ossa. Assoli che mettono la pelle d’oca e un drumming dinamitardo. Insomma: disco perfetto che ha nel groove il suo punto di forza.

Disco che non si accontenta di fare solo “rumore” a iosa ma che riesce a spezzare il tutto con ottimi stacchi melodici come nella già succitata “Sons Of Cain”.

Tuttavia…. Non posso esimermi dal fare alcuni commenti negativi. In primis si sente troppo la “devozione” a band quali Machine Head o At The Gates, nonchè lo spettro delle stesse che aleggia sul combo anglo-cileno. Secondo: il disco sembra tirarla troppo per le lunghe, risultano, alla fine, noiosetto. Forse, ripeto, anche troppo.

Ed è, probabilmente, questo eccesso di perfezionismo a rovinare tutto. 

Per carità, ripeto: il disco suona praticamente divinamente. Ma ci troviamo, secondo me, innanzi a un prodotto costruito in base alla formula “mestiere” che, alla fine, ti lascia con l’amaro in bocca.

Con quella dannata sensazione di sciapo. Né carne, né pesce.

Che cavolo volete che vi dica… se smaniate per questo tipo di sonorità, per un singer che ruggisce come un leone lungo 12 tracks, per un batterista che sembra il clone di Dave Lombardo (magari esagero un po’… ma non me ne vogliate. È solo per rendere maggiormente l’idea) in “The Gathering” , per le chitarre che riescono a sforare quei riff pesanti come macigni e qui solos veloci, melodici e taglienti…. Beh, in tal caso, avrete raggiunto il vostro Nirvana.

Io, personalmente, preferirei rivolgere il mio sguardo altrove. E, soprattutto, i miei soldi.

P.S.: Sufficienza raggiunta “ad culom”, grazie alla cover dell’album davvero niente male….

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