Mondo Sludge; atto primo.

Ora, sgombrando dalla mente ogni superfluo pensiero, applicando all' esterno solo il nostro rudimentale ma efficacissimo senso dell'orientamento, e usando "sempre se ne abbiamo un po" il dono più prezioso di tutti: la ragione; prepariamoci ad accogliere il nostro destino, "funesto, ma pur sempre il nostro destino", andando incontro alla più desolata tra le violenze: Odd Fellows Rest.

Quest'ultimo sarebbe la quinta tappa di quella grottesca formazione nata ormai da 19 anni, i Crowbar, progetto sludge metal che si distingue grazie ad un clima torrido, soffocante e soprattutto soffocato. Capitanati da il loro inflessibile frontman, Kirk Windstein, un eccentrico incrocio tra un motorizzato e babbo natale: dotato di un falsetto micidiale capace di adattarsi ad ogni brano composto da se stesso, e una ferocissima mole da chitarrista, rutta a tutta birra senza che nessuno sappia esattamente a che pro. Ma un po tutti i componenti sono dei carismatici fenomeni da baraccone non da meno: il bassista Todd Strange si qualifica tra i musicisti più bassi e gravi sulla piazza, Sammy Duet, "ex Acid Bath, passato ai Crowbar subito dopo la morte di Audie Pitre, decidendo cosi di non prendere parte al progetto del cantante Dax Riggs, gli Agents of Oblivion", aiuta il suo collega Windstein a traumatizzare le loro sfortunate e distortissime chitarra grazie ad un cacofonico assolo la, un sudicio riff qua e mid tempo fragorosi, "Planets Collide", che dire poi a proposito di Jimmy Bower, "invece, all'ultima esperienza con la band": un folle che crede che adoperare due martelli, "uno sbattendolo addosso ad uno xilofono fatto di ossa , e l'altro scaraventandolo senza pietà su dei tamburi fatti di pelle umana" significhi saper suonare la batteria; beh, se saper suonare significa suscitare nell'ascoltatore senzazioni angoscianti, depresse, e contemporaneamente, lasciarlo con un sorriso stampato in faccia grazie ad una esagerata goffaggine di fondo,"proprio perchè in possesso di questa abilità bifacciale e multiuso, ma probabilmente inconsapevoli di tutto ciò", allora questa tragicomica quadriglia, che ha fatto della ricerca del suono più fastidioso  e infelice il proprio mestiere, ha il diritto di essere raccontata in tutte le scuole, di essere sulla bocca di tutti.

E dopo questo lungo prologo , è d'obbligo affrontare le crepe che affliggono l' album: per tutto ciò che offre musicalmente, si può tranquillamente definire una mezza delusione, perchè suona troppo come un plagio "commerciale" ai Melvins; si, proprio loro, "ascoltare pezzi come New Man Born, 1000 Year Internal War, It' s All in the Gravity per credere". Non eclettismo, ma noleggio di riffoni, che però vengono interpretati in modo molto più violento, e cosi lenti da avere la capacità di amplificare i minuti in ore. E come se non bastasse, a maledire l'album ci si mette un pop che contribuisce a distorcere "negativamente" la sinistra creatività del complesso, intorbidendo un disco che non sarebbe stato un capolavoro ugualmente, ma che almeno sarebbe stato molto più innovativo, senza troppe smagliature, e soprattutto, meno, inutilmente pomposo. I testi, almeno quelli, hanno una irresistibile impronta emotiva e personale: filastrocche disgraziate esasperate da una tortura chiamata masochismo psicologico, un inquietante piacere nello struggere e nell' autostruggersi in modo raffinato ma incontrollabile. Testi che proprio per questa caratteristica, rischiano di non combaciare con la musica proposta, antiestetica, spigolosa, inaccessibile "ma se alla fine" gli opposti si attraggono "bisogna riconoscere che, oggettivamente, è un abbinamento più che corrisposto. Infine, i nostri si dichiarano non completamente estranei alla melodia, " che non è per forza il pop di cui si è parlato prima". Dediti alla melodia più sgraziata e annichilente, e il bello è che non viene mai accostata a quei soliti riff schiacciasassi, ma inserita in contesti più sperimentali ed elaborati, "la non indispensabile title track, e la magnifica cover degli Iron Maiden Remember Tomorrow".

 Ponendo fine alla recensione, mi rivolgo a quella fetta di critica, e ad una ancor più vasta schiera di fan dei Crowbar che crede che Odd Fellows Rest sia il capolavoro della band: a loro consiglio di riascoltarlo leziosamente, di pensarci due volte e di ricredersi, innanzitutto.

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