Alcune regioni del mondo sembrano - più di altre - avere le carte in regola per concorrere al sospirato titolo di "paradiso in terra"; l'Australia, col suo 'humus' primitivo eppure così intriso di modernità, si è avvicinata spesso al fatidico traguardo. Il mito - sterile? infantile? infondato? - del paese in cui si lavora "solo per metà anno" avrà toccato le corde di quasi tutti i mortali almeno una volta, quantomeno di quelli maggiormente vittime della malata frenesia produttiva occidentale. Credere o no alla veridicità del mito è questione da rimandare al giudizio e alla lungimiranza del singolo. La fantasia è però alimentata da qualche elemento la cui concretezza è tutta oggettiva: frutto di questa terra è una musica che più di altre sembra aver goduto della salutare esposizione al calore solare.
A scanso di facili equivoci o furbe mistificazioni, sarà bene ricordare che quel sole non ha scaldato solo campioni di classifica, siano essi meteore funk (Inxs) o discutibili, più o meno redivive, reginette dance (Kylie Minogue). Lo sa bene chi ricorda come mezzo mondo si fosse ritrovato a ragionare - una ventina d'anni fa - sulla terrificante bellezza di un unico motivo pop: da quale galassia, in quale dimensione o stato di 'trance' poteva essere saltata fuori "Don't Dream It's Over"? Ai posteri l'ardua sentenza. Resta che la casa di Neil Finn era troppo affollata di idee e intuizioni per rimanere vincolata al successo di un unico - per quanto perfetto e inarrivabile - giro di accordi. E già l'omonima opera d'esordio dei suoi Crowded House (1986), pur immatura, lasciava intravedere un futuro di promesse mantenute (su tutte, la cadenzata e sognante "World Where You Live" e la mistica "Hole In The River"). Alla sua uscita nel 1990, il singolo "Chocolate Cake" - niente più che l'ennesima piacevolezza a cui i nostri ci avevano abituato - farà da apripista alla variegata ricchezza dell'adamantino "Woodface": che non è forse ancora l'album perfetto del gruppo australiano, ma certo quello più completo e coerente. Neil e compagni non si preoccupano di nascondere dietro alla loro faccia di legno l'evidente ascendenza beatlesiana della loro nuova produzione: è la rilettura, in chiave emotiva e giocosa, di un portato musicale che trascende la profondità degli oceani. Scartata in partenza l'inutilità di alcuni episodi ("Tall Trees", la squeeziana/costelliana "Fame Is", la goffa "Italian Plastic"), il resto è una sequenza ininterrotta di delizie pop dalla freschezza gradevolmente rètro. Lo prova a sufficienza il mirabile trittico "Weather With You"-"Whispers And Moans"-"Four Seasons In One Day": dove la prima è senza dubbio uno degli esiti più felici e gioiosi cui è mai approdata la scrittura pop, la seconda la dilatazione infinita di una melodia calda ed eterea, la terza una superba "reverie", condensata in una micropartitura tale da suscitare invidia perfino nel baronetto McArtney. Non scaldano di meno, comunque, l'accattivante ritmica proto trip-hop in "There Goes God", la morbida leggiadria di "She Goes On" e soprattutto i meravigliosi refrain corali di "As Sure As I Am" e della conclusiva "How Will You Go" - tasselli indispensabili e memorabili di una "british invasion" trapiantata nel cuore di una terra felice.
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