L'arte, musica compresa, è sempre stata distinta da differenti personaggi, quelli "colti" che adoperano tutte le loro conoscenze nella materia, per divulgare nel migliore dei modi il loro messaggio e quelli che di nozioni ne hanno ben poche, che usano l'istinto per poter esternare le loro sensazioni.

I Crucifix facevano perte del secondo caso.

Facile dire che ormai nulla ci sorprende più, ma nemmeno all'ora se dobbiamo essere precisi. Nel genere c'erano stati i Discharge ad esempio,  nonostante tutto però, nella loro maniera i Crucifix riuscirono a colpire il centro ugualmente, apportando una ventata di aria fresca a quello che poco tempo prima era già stato fatto, riportando alla luce l'agonia umana e l'ingiustizia della guerra tramite la musica.

Nessuno come Sothira Pheng, cantante di origine Cambogiana, aveva più diritto di cantare tante cose, il titolo del loro lavoro forse già spiegava molto: "Dehumanization", album che nei primi anni ottanta fu un classico dell'Hardcore Punk della scena Californiana.

Ecco, le tracce di questo disco si trasformano in molto di più che in normale musica, il tocco freddo e sanguineo degli strumenti ci trasmettono inconsciamente un filmato di guerra, vedo proiettarmi in mente torture incivili, carri armati che solcano un terreno di carne, sangue e mute grida di paura. La parte vocale senza prendere una sola boccata d'aria, urla nel nome dell'odio tutto il lerciume scaturito dall'uomo.

Per farmi intendere, ripeto il nome Discharge, anche loro con rumori distorti di chitarre e incalzanti colpi di batteria qualche anno prima volevano rappresentare le stesse cose, ma l' idea che percepisco è diversa: ad esempio con "Why" ascoltavo una protesta attiva, priva di fronzoli ma a modo suo lontana dai campi di battaglia, invece con "Dehumanization" mi sento presente. Musica veloce, super confusionale,  martellate alle tempie, riff rudi e monotoni, fischi e caos, tutto, per quanto può sembrare disgustoso ed eufonico riesce ad amalgamarsi egregiamente con la linea musicale, una perfetta trasformazione di rumore in sound. Tracce simili tra loro scorrono sul piatto, riportando alla luce un Hardcore Punk vecchia maniera intinto con un pizzico di Noise.  Percepisco uno strano effetto quando ascolto "Indo China" o "Three Miles to Oblivium" (due dei miei brani preferiti); i ritmi serrati, invece di spingermi in un frenetico pogo, sembrano aspirarmi l'aria dai polmoni lasciandomi inerme, fisso verso le bianche pareti del muro. "Punk-ipnosi", "la sindrome di  Stendhal musicale", rimango sbigottito da tutto questo sapiente fracasso e da queste crude parole, intrappolato in parte nel pensiero di quell'orrore che è la guerra. Possiamo dire Hardcore ma possiamo anche dire poesia, possiamo chiamarlo terrore, possiamo chiamarla in alcuni casi esagerazione, ma per quanto io voglia essere spensierato ed allegro, ascoltare questo disco mi da quella giusta carica di odio per affrontare una società intrinseca di schifezze.

Passano quattordici canzoni,  ventitre minuti di musica e l'effetto è finito, i Crucifix hanno terminato di suonare, mentre la puntina scorre verso la fine del disco mi rendo conto di quanto silenzio mi circondi...

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