Discone, senza mezzi termini. Scoperto grazie al fatto che uno dei miei negozi di riferimento vendeva questo cd a prezzo stracciato. "Brother" se ne stava lì, ad aspettarmi, nel reparto delle super offerte, in mezzo a compilation di disco music, albani e romine, latino americano a tre euri. Una vera gemma in mezzo ai rifiuti, anche se ancora non lo sapevo, l'ho comperato "al buio" ed è stata una buonissima idea.

Cry Of Love sono americani della North Carolina ed arrivano con venti/venticinque anni di ritardo, esordendo qui nel 1993, a suonare il definitivo, perfetto, ispiratissimo, tosto, perfino "accessibile", rock blues. Zero innovazioni, tutto già ben noto e prevedibile: gli Zeppelin, i Free, Rory Gallagher, Jeff Beck, i Cream, gli Stones, Jonny Winter, soprattutto Jimi Hendrix sono tutti lì, sotto le dita e le bacchette dei tre strumentisti e nel gargarozzo animoso del cantante, tutti e quattro bravissimi, preparati, coesi, a suonare ineffabilmente il loro british blues (americanizzato), cioè una versione del rock che trovo personalmente meravigliosa: asciutta, schietta, immediata, con un che di ancestrale, di basilare, di primigenio, di rispettoso e rispettabile, di vicino alle origini ed ai significati di questa musica. Si intuisce che basso, chitarra e batteria suonano insieme nello studio, senza quasi sovraincisioni. Una spruzzatina d'organo ogni tanto, un filo di riverbero proprio un minimo a dare ambiente, e via. Si sente tutto, ogni sfumatura, gli strumenti stanno tutti addosso alle orecchie dell'ascoltatore. Continue le sinergie fra di essi, così indispensabili per dare una buona riuscita ad un po' tutti i generi musicali ma specialmente a questo, così nudo, spoglio, diretto, spietato nel senso che non perdona qualsiasi mediocre ispirazione.
Bisogna suonare bene, con trasporto, passione e convinzione, per riuscire, nel 2008, a stupire ancora l'appassionato di musica con una proposta vecchia di quarant'anni, senza la minima evoluzione stilistica da allora se non un pizzico di ruffianeria in qualche ritornello, con i soli vantaggi dell'enorme miglioramento della qualità d'incisione rispetto ai tempi. Siamo sempre lì, come negli anni settanta: ci sono basso e batteria che pompano ritmo e potenza, ed una Fender Stratocaster che volteggia in mano ad un vero "manico", certo Audley Freed, alle prese con i risaputi, eppure immortali e trascinanti clichèes della chitarra rockblues. Il suo suono è pulito, perfetto, il suo controllo delle sei corde assoluto, il suo tocco virtuoso gli permette di dare infinite sfumature ad ogni nota eseguita, il suo gusto gli consente di non strafare, di suonare quello che serve, di far gustare anche le pause e i silenzi. Jimi Hendrix resta il preciso punto di riferimento, anche se l'abnorme sua ricchezza di tocco rimanda all'inarrivabile Jeff Beck, od al compianto Rory Gallagher, magari pure a Mark Knopfler (in un contesto assai più grintoso e deciso). Che chitarrista! Di quelli che fanno passare la voglia di suonare ai loro colleghi, chè quella sensibilità, quel gusto, quel timing, quel fraseggio assolutamente ficcante sono prerogativa di pochi.
Il cantante si chiama Kelly Holland e sa il fatto suo. Grinta da vendere, polmoni generosi, anima e passione ad ogni intonazione. Il bassista ha nome Robert Kearns ed il batterista Jason Patterson, fanno entrambi quello che c'è da fare, alla grande, potenti e precisi.

Un vero dispiacere che un gruppo così sia stato capace di due soli dischi (il secondo nel 1997, con un diverso e meno bravo cantante, Robert Mason ex-Linch Mob) prima di sbandare definitivamente. Freed è poi passato nei Black Crowes (album "Lyons") togliendosi la soddisfazione di andare in tournèe con uno dei suoi sicuri miti: Jimmy Page (in "Live At The Greek", nel quale i Crowes coverizzano gli Zeppelin insieme a Jimmy, c'è anche lui), collaborando in seguito con Aerosmith ed altri: tutti lo cercano, nessuno lo piglia! E' un fuoriclasse e gli addetti ai lavori lo sanno da tempo, speriamo che in futuro riesca a far dischi in maniera regolare e in un gruppo di adeguato riscontro.

Non voglio segnalare alcun brano di "Brother", l'album va trangugiato dall'inizio alla fine, il songwriting è più o meno costante, nulla che si stacchi particolarmente dal resto, sia nel bene che nel male. E' rock blues più che accessibile, in taluni casi sconfinante quasi nell'AOR, suonato da padreterno. A mio parere questo disco è fra i migliori di tutta la scorsa decade, imperdibile in my humble opinion.

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