Questa recensione è un’arma a doppio taglio: se da un lato è impossibile che critichi questo live, è giusto che io manifesti quelle che sono le mie perplessità e i miei piccoli disappunti. Questo concerto è assolutamente inutile chi li conosce lo sapeva già che i Cryptopsy sapessero suonare e chi invece non li ha mai ascoltati di certo non inizierà di qui.

Ma passiamo ad un’analisi più oggettiva. I Cryptopsy, iper tecnica band Brutal Death del Canada, si sono sempre distinti per il loro talento: i membri infatti sono indubbiamente tra i migliori musicisti presenti sulla scena internazionale, con capacità esecutive e di composizione molto sopra la media. Perfino il più ottuso osteggiatore di questo genere musicale, converrebbe che i nostri sono delle specie di prestigiatori, dei funamboli della tecnica strumentale.

Dopo un Ep e quattro Full Lenght, i nostri decidono di registrare un Live, precisamente quello tenuto a Montreal il primo giugno del 2002 (anche se il cd iniziò a circolare solo nel 2003). La line up subisce un radicale cambiamento: al posto di Mike DiSalvo, cantante della band nonché fautore della grande apertura dei Cryptopsy verso lo sperimentalismo, canta dunque Martin Delacroix. Questi, assoldato solo per la registrazione del Live, riesce a plasmare la propria voce e a sintetizzare in essa il modo di “cantare” del sopraccitato e del primo cantante Lord Worm, diametralmente opposti e molto difficili da conciliare. Nonostante le difficoltà dell’impresa, Delacroix riesce a rendere quasi perfettamente sia le canzoni dell’uno sia quelle dell’altro senza stravolgerle minimamente: ma un complesso di questo calibro non può accontentarsi di un growling così privo di personalità, da qui il rientro di Lord Worm nell’ultimo album in studio, “Once Was Not”.
I chitarristi sono assolutamente imprescindibili, anzi, stupisce come in sede live riescano a riprodurre i loro pezzi ancora più veloci che su disco. Impressionanti. Ma il fiore all’occhiello della band è indubbiamente il mostruoso (è dire poco) batterista Flo Mounier, una specie di automa precisissimo e dotato di un indiscutibile genio per lo strumento che suona: il drummer cerca di superare se stesso con velocità insostenibili e decisamente sovraumane (mi chiedo come arrivi alla fine del concerto che dura cinquanta minuti). Il bassista può essere paragonato all’inumano batterista di cui sopra: stacchi di basso perfetti che dimostrano un talento raro e song eseguite magistralmente lo spediscono direttamente nell’Olimpo dei bassisti.

Insomma “None So Live” (con chiara allusione al loro capolavoro “None So Vile” ) si presenta come un Live perfetto, il vanto dei metallari che vogliono dimostrare al mondo che anche nella loro musica c’ è gente che sa suonare; ma purtroppo, se l’intento non è quello, di questo cd ne si fa ben poco. E’ infatti di una freddezza e di una matematicità tali da togliere tutto il piacere di sentire un gruppo che suona dal vivo: come dire, quando uno sente un concerto è perché ha voglia di suoni veri e vivi mentre questo disco non viene incontro a questo desiderio. Non che auspicassi erroracci o sbavature esecutive, per carità, ma il coinvolgimento resta scarso. Mi viene da fare un paragone con il “Live In LA” dei Death, un concerto stupendo e molto tecnico, ma infinitamente più verace e spontaneo. C’è da aggiungere che le canzoni, a causa di un mixaggio pessimo, per chi non le conosce sono poco riconoscibili: e questo non rende giustizia a pezzi spesso eseguiti meglio che su disco. Tuttavia il difetto principale sta nell’eccessivo virtuosismo del lavoro: la loro tecnica è talmente esibita e sfoggiata da fare di questo live un mero esercizio di bravura, una dimostrazione di cui non c’era bisogno. Basti pensare al “Drum Solo”, un delirio di tre minuti in cui Mounier dà prova della sua abilità straordinaria fino a nauseare l’ascoltatore. Anche se lascia a bocca spalancata e costringe a reiterati ascolti per capirlo bene tutto, questo inutile intermezzo resta un vanto stilistico che potevano tralasciare. Con una punta di malizia si potrebbe infine fare qualche insinuazione sulla esigua quantità di tracce proposte, dieci (su quattro studio album incisi) escludendo l’Intro e l’assolo di batteria; tuttavia bisogna riconoscere che eseguire in questo modo più di una decina di canzoni diventerebbe difficile anche per i Cryptopsy.

Insomma, un ottimo concerto che toglie ogni dubbio ai detrattori del Brutal Death sulle capacità dei musicisti, un live in cui i pezzi sono riprodotti magnificamente: un po’ di umiltà in più però non guasterebbe.

Carico i commenti...  con calma