Una giornata come questa. Gocce d'acqua pesanti affliggono le superfici dei vetri alle finestre e le sferzano. Ovunque, solo il silenzio rotto dal balletto cadenzato ed armonico, a volte, del tempo brutto che piomba dal cielo coperto e si infrange a terra, esaurendo ogni forza e ogni bel ricordo. Delicato e sommesso, ma se ci si trova in mezzo, raschiante e putrido. Ecco.

Quì si parla dei Cult of Luna e del loro ultimo lavoro "Eternal Kingdom". Quì si parla di un interminabile intermezzo nel grigio che sta per tramutarsi nel più plumbeo dei bui, rischiarato da niente e con tanta, ma davvero tanta, rabbia repressa.
La loro musica è una commistione affascinante di sensazioni sfocate e poco percepibili e di minimalismo senza regole che però in molti momenti si abbandona ad un'orgia di suoni che incide la carne e la fa sanguinare, come un artiglio affilato. Distorsioni, stacchi secchi, giri semplici ed orecchiabili di chitarra e strascichi a volontà coronano un disco che, ad ascoltarlo bene, non si sa perché, non si capisce proprio, cattura e non lascia scampo. Sarà che i Cult of Luna sono un gruppo maturo dove ogni componente sa bene dove vuole andare a parare, sarà che proprio il loro genere, da sempre un passo nell'avanguardia non troppo in là e un passo nel Doom di scuola settantiana mi ha sempre affascinato, fatto sta che gli elementi perché si possa gradire un lavoro così sono tanti e sfaccettati.

Non è un miracolo di originalità certo, questo "Eternal Kingdom". Nulla di quanto si ascolta si può dire "unico", ma la sua forza sta non di certo in quanto i Cult of Luna rappresentano, ma bensì in quello che esprimono, e nella maniera eccellentemente ammorbante con cui lo fanno. Mai definizione di genere musicale fu più azzeccata per questo gruppo: "Sludge". Tonnellate di fango che sporca tutto quello che pervade, sommergendolo.
Psichedelia, Post-Rock, Seventies, Post-Core, sono parole che non vogliono dir nulla quando si ascolta un connubio così forte e amalgamato di suoni. Per esempio come in "Ghost Trial", dove un sottofondo in sordina poi s'arrampica mano mano verso l'alto avvolgendosi nella sua ascesa su se stesso, rappresentando una relazione di diretta proporzionalità tra, da un lato, la rabbia che ribolle nello stomaco e mano mano si acuisce, e la sensazione di disagio che si prova ad ascoltare il brano. Poi, alla fine, uno stacco monolitico, lentissimo, chiude ogni porta e ogni speranza a che l'atmosfera disagevole rimanga solo un ricordo.

Il bello di questo disco è che, poi, gli effetti sonori se vogliamo non sono poi così raffinati, così perfetti come in certi ambiti Doom, dove si sprecano tastiere e synth per porre in essere un quadro desolante e circoscritto. I Cult of Luna riescono bene nel loro intento, e cioè quello di creare apprensione ed ansia, anche e soprattutto perché il loro grezzo minimalismo sonoro, imparentato strettamente con un Southern Rock che non si ricorda ormai più, lascia basiti ed esterefatti. In canzoni come "The Lure" addirittura si può ascoltare una tromba che echeggia bassamente, e subito dopo, in "Mire Deep", invece, suoni troncati ed effettati, cedono il passo a giri di chitarra che vorrebbero essere rabbiosi, ma che invece rimangono sullo stesso tono di prima, nulla spezzando di quello che si è creato fino ad allora.

Io non so e non credo proprio che questo album possa essere mai ricordato negli annali del Metal e del Doom. Certamente ci saranno gruppi dello stesso genere o affini che sicuramente avranno fatto e faranno meglio. Dico solo che, per quanto mi riguarda, canzoni come "Eternal Kingdom" e "The Great Migration" mi hanno dato l'impressione di una nebulosa grigia e malata e lontana che man mano si è avvicinata e che mi ha investito poi, attaccandosi alla pelle, rendendola fredda e sudata sotto ai vestiti. Una catarsi, una nemesi sonora dove l'impulso di scappare diventa sempre più forte e insostenibile, ma, finquando non ci si sarà immersi totalmente nel calderone alchemico ribollente di suoni dei Cult of Luna, non si riuscirà mai a liberarsi dello straniamento ansioso in cui ci si è calati.

Prestateci attenzione, magari potrebbero dispiacervi troppo e allora sarete legati a questo album. Quì non ci sono sezioni strumentali abissali e caotiche. Tutto è sottotono e depresso. Fa apprezzare il silenzio, questo insieme di canzoni, perché forse rappresenterebbe assiomaticamente una via d'uscita dal luogo senza forma e dimensione da cui i Cult of Luna provengono e dove vorrebbero relegarvi.

Onirico. Nient'altro da dire.

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