Quando dico che l'alba del nuovo millennio è stata per i Current 93 una fase difficile, di incertezza artistica e concettuale, non mi sembra di dire stupidaggini. Se non altro per la mancanza totale di una direttiva stilistica atta a coronare il sempre difficile percorso esistenziale di David Tibet. Facendo una veloce carrellata su quel periodo, possiamo dire che l'ultima uscita significativa era stata “Sleep Has His House” (2000), epilogo di un nuovo percorso di ermetismo sonoro che era fiorito qualche anno prima con il capolavoro “Soft Black Stars”. Appena prima di “Sleep Has His House” i nostri avevano avuto il tempo di pubblicare un lavoro dark-ambient (l'oscuro “I Have a Special Plan for this World”, 2000) e lo split con Antony and the Johnsons (2000). Appena dopo seguirono un altro ep dedito a sonorità dark industriali (“Faust”, 2000), una bislacca operazione di remixaggio (“The Great in the Small”, sempre del 2000, che racchiudeva tutto il materiale fino ad allora edito in un'unica assurda suite) e l'ennesima registrazione dal vivo, “Cats Drunk on Copper” (2000).

Giunto al 2001, Tibet decide di dare alla luce “Bright Yellow Moon” che esce a nome Current 93 & Nurse with Wound, album che consacra ufficialmente il pluriennale sodalizio artistico con l'amico Steven Stapleton (che accompagna il Nostro fin dalle origini, ma che con solo questo lavoro riesce a portare il nome del suo progetto sulla copertina di un album della Corrente). Un episodio di secondaria importanza nella sterminata discografia dei Current 93, ma paradossalmente fondamentale nel percorso spirituale di David Tibet.

Le liriche dell'album sono state scritte nell'agosto del 2000 durante il ricovero dello stesso Tibet in un ospedale a Londra per una (pare) peritonite che rese necessario un intervento chirurgico urgente ed un lungo periodo di convalescenza: un periodo in cui il Nostro, sospeso fra vita e morte, con un tubo in bocca ed un catetere sul davanti, annebbiato dalla morfina e dal dolore e dall'angoscia della malattia, turbato dai gemiti e dal delirio degli altri pazienti della sua corsia, ha navigato nella più totale inconsapevolezza, per poi maturare, appena successivamente, nuove riflessioni sui concetti di Vita e di Morte (“La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell'umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te” - John Donne, testualmente citato nel booklet).

Non sarà un caso, a mio parere, che negli anni successivi assisteremo alla esplosiva quanto inaspettata conversione ad un cristianesimo totalizzante e panteistico, di cui rinveniamo i semi proprio in questo lavoro, denso di visioni mistiche: una testimonianza che, per umori ed atmosfere, possiamo associare ad un'opera come “Imperium”, capolavoro del 1987 che vide la “luce” proprio mentre Tibet era alle prese con un'altra malattia che avrebbe potuto costargli la vita.

Aperto e chiuso dalla soffice chitarra acustica di Michael Cashmore, “Bright Yellow Moon” porta con sé una struttura che può ricordare quella di “Animals” dei Pink Floyd, dove prologo ed epilogo erano stati affidati alle due speculari parti di “Pigs on the Wing”, scanzonata cornice acustica ad un album il cui corpus sonoro consisteva in brani lunghi e complessi, e cupi nel loro svolgimento.

L'apertura poetica di “Butterfly Drops” (da brividi per l'intreccio di melodia e parole) è solo quindi uno splendido miraggio (ma quanto ti voglio bene Cashmore!) che non arriva ai due minuti. La sostanza dell'album si muove invece su traiettorie dark-ambient più tipicamente “nursewithwoundiane”, chiamate a descrivere – forse in maniera eccessivamente didascalica – le allucinazioni di un Tibet in preda al delirio. I soundscape architettati dall'abile Stapleton (come già era successo per gli album ispirati ai racconti di Thomas Ligotti) ricalcano le liriche, non solo a titolo di atmosfera, ma inanellando una serie di soluzioni onomatopeiche che vanno a sottolineare le immagini descritte dai versi (e se così il febbricitante Tibet ode il frullio di pale di elicotteri sopra il suo letto di convalescenza, così noi udiremo veri e propri elicotteri uscire dalle casse del nostro stereo; e se Tibet evoca il marciare imponente di legioni metafisiche che percorrono la sua mente obnubilata, il rintocco di pesanti stivali ne saranno il logico contrappunto sonoro). Un disco visionario è questo “Bright Yellow Moon”, che tuttavia procede in modo piuttosto scolastico, dove a cozzare (cosa mai avvenuta prima di allora) sono l'indole tragica e fragile del travagliato Tibet e lo spirito dadaista e surreale di Stapleton, la cui ironia, il cui gusto dello sberleffo vanno a sminuire quella che è la carica drammatica che porta con sé il concept che sta alla base del platter.

I quasi venti minuti di “Disintegrate Blur 36 Page 03” ne sono solo il lugubre antipasto: una stasi ambientale in cui le considerazioni di Tibet ci accompagnano nel buio più pesto di una squallida corsia di ospedale, fra i battiti cardiaci rallentati e il pulsare di marchingegni infernali. L'organo iniziale della successiva “Mothering Sunday (Legion Legion)” rompe ogni indugio ed apre la fase delirante del viaggio (è qui che l'effettistica "narrativa" di Stapleton fa il suo ingresso), per scaturire nella tensione paranoica di “Nights”: rumorismo non-sense allo stato puro, un treno impazzito – nel vero senso della parola – in cui voci deformate e sovrapposte come nei bei tempi andati copulano selvaggiamente con effetti e sample in loop che si accavallano senza pietà per la nostra ragione. Un treno che rallenta per approdare nuovamente nella placida “Die, Flip or Go to India”, incubo cosmico a metà strada fra i Tangerine Dream più minimali e i Nurse with Wound più free (evidenti i richiami al già citato “I Have a Special Plan for this World”, in cui la mano di Stapleton aveva influito pesantemente, ma con migliori risultati, sull'economia del sound della Corrente).

La conclusiva “Walking Like Shadows”, distensiva folk-ballad ispirata nuovamente dalla mano del sempre magnifico Cashmore, fa da chiosa al tutto, arrestando finalmente il delirio di voci farneticanti e contorsioni sonore indecifrabili, e recuperando gli umori con cui si era aperto l'album, lasciando all'ascoltatore un sentore di speranza, di fede ritrovata, che aprirà ai limpidi scenari futuri della Corrente.

Album fondamentale da un punto di vista concettuale, quanto trascurabile dal punto di vista prettamente musicale, “Bright Yellow Moon” viene penalizzato da una leggerezza in fase compositiva che trasforma l'urgenza comunicativa che ne stava all'origine in un giochetto manieristico ad opera di quel volpone di Stapleton (robetta per un personaggio del suo calibro): un'operazione dove a farne le spese è purtroppo la trascendentale poetica di Tibet (qui all'apice della sua agonia fisica e mentale), il quale avrebbe potuto senz'altro toccare vette altissime se avesse saputo curare più attentamente le architetture sonore che fanno da compendio al suo ennesimo saggio di follia visionaria.

Ad ogni modo, da ascoltare.

Carico i commenti...  con calma