Quando si parla dei Current 93 si parla di musica sostanzialmente incatalogabile e che solo per abitudine, convenzione o semplice comodità definiamo industrial esoterico. Tale definizione, per quanto vaga, riesce tuttavia a ben ammaestrare l'indefinibile proposta di Tibet e soci, ma se ci mettiamo un secondo a ragionare sul significato di questa espressione, ci renderemo facilmente conto della sua contraddizione intrinseca: che diavolo c'azzecca, infatti, l'industrial con l'esoterismo?

Si tratta di un vero ossimoro, se ci si pensa bene, poiché in essa si vanno ad accostare due mondi apparentementente inconciliabili: l'industrial, da un lato, è un genere musicale dal forte impatto fisico, poco "umano" in quanto mediato dalla tecnologia, e necessariamente legato ad un contesto socio-culturale ben preciso (l'industrial, ricordiamolo, va a rappresentare, e al tempo stesso a demonizzare, l'alienazione nella società dell'era industriale). La "musica esoterica", qualsiasi cosa s'intenda per essa, è invece quanto di più "metafisico" possano incontrare le nostre orecchie: essa finisce per travalicare perfino l'eterea inconsistenza della musica classica (che ha ancora velleità principalmente artistiche), proponendosi di creare un ponte, un contatto, uno spazio di comunicazione con "entità totalmente altre". Non solo: l'industrial è la proiezione nichilista di un presente assurdo in un futuro ancora più nefasto, e se il suo demone è la tecnologia, è proprio di essa che si serve per descriverne gli effetti sul comportamento delle masse, in generale, e sulla psiche dell'individuo, in particolare. Il rituale religioso è invece una espressione culturale vecchia come il mondo, nata proprio per dare risposte a questioni insolubili che l'uomo si pone da sempre: in un certo senso è il fallimento della ragione innnanzi all'incomprensibilità dell'irrazionale, un'ammissione di impotenza che diviene automaticamente richiesta d'aiuto, di certezza, di compassione. In conclusione, se l'industrial ci parla degli effetti, spesso deleteri, dello strapotere della ragione (che tutto vuole regolare), il mondo dell'occulto, di contro, rappresenta la sostanziale impotenza della stessa ragione.

I due universi, alla luce di quanto detto, ci appaiono quindi più lontani che mai. Tuttavia, se riflettiamo un secondo in più sulla questione, scopriremo che l'alienante mondo moderno descritto dall'industrial e le angosciose nenie di un religioso salmodiare hanno in realtà un punto in comune: la reiterazione. Il ripetersi dei gesti in una catena di montaggio, il ripetersi degli stessi comportamenti e degli stessi schemi mentali durante la routine giornaliera, durante la settimana, durante una vita, sono aspetti accostabili al reiterarsi del battito dei tamburi, al reitearsi delle formule enunciate durante un rito, al reitearsi dei gesti che compiono i partecipanti al rito stesso. E da questa semplice analogia "stilistica" (chiamiamola così) prende piede secondo me la concettualizzazione di questo strano incrocio fra sacro e profano.

Spogliando l'industrial delle sue velleità sociologiche e modernizzando gli antichi riti religiosi, l'industrial esoterico diviene così una via per desacralizzare (e non dissacrare!, come qualcuno potrebbe pensare) il rapporto fra uomo e Dio, che diviene fra Uomo e dio, e quindi non più un "privilegio" esclusivo del credente, ma una condizione esistenziale condivisa, consapevolmente o meno, dell'umanità intera, che trova comun denominatore nella Morte, nella paura per la stessa e nella conseguente ricerca di una ragione che giustifichi e dia un senso compiuto alla vita. E' un'operazione di "laicizzazione" dell'impulso religioso, della voglia di eternità e della necessità di andare oltre la realtà che sono insite in ogni uomo. Al tempo stesso si compie il superamento di una visione prettamente materialistica delle cose attraverso il riconoscimento, o per lo meno la non-esclusione, di un qualcosa oltre l'evidenza e in grado di dare una speranza: l'impulso religioso diviene un'istanza (biologica, culturale, spirituale, non fa differenza) che esplicita l'innegabile necessità di trascendere il Reale (a prescindere delle modalità con cui ciascuno se lo raffiguri) che non si concretizza e cristallizza in una credenza religiosa o in un sistema di pensiero filosofico determinati, ma in una generica fuga verso lidi solamente intuibili ma mai comprensibili dalla mente limitata dell'uomo. Il particolare è così ricondotto all'universale, e il travaglio dell'uomo moderno diviene non altro che la rappresentazione contingenziale della sempiterna tragedia dell'uomo su questo mondo. Cambiano le modalità di sofferenza, cambiano le forze in campo, gli scenari e gli attori sociali, ma il senso di vuoto, l'incomprensione, le ingiustizie che la Vita arreca, l'impossibilità di accettare la Morte e l'impotenza innanzi ad essa, sono tali e quali quelle che l'uomo patisce da sempre.

"Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow" è tutto questo, e se non è il miglior album dei Current 93, di certo è quello che meglio rappresenta l'invenzione dei Current 93.

"Nature Unveiled" e "Dogs Blood Rising" sono certamente le pietre miliari del genere, ma a mio parere, proprio perché eccessivamente tributari nei confronti di un approccio avanguardistico in cui sono il caos e il rumore a regnare, essi rendono più vaga e confusa l'intenzione della formazione: voci distorte e lugubri campionamenti andavano ad agire più sulla sfera subliminale che sul piano del razionalmente comprensibile. Adesso invece, il pulsare ossessivo delle percussioni, le complesse architetture con cui sono messi insieme i suoni, i poderosi crescendo costruiti con dovizia di particolari, il declamare finalmente comprensibile di Tibet, esplicano l'intento comunicativo della musica dei Current, svelandocene le intenzioni: edificare un moderno rituale in grado di attualizzare il disagio universale dell'Uomo, un canto di disperazione in cui l'uomo si appella a qualcosa di soprannaturale per render conto delle proprie apparentemente ingiustificabili sofferenze, un tuffo nelle paure ancestrali dell'uomo attraverso la musica del futuro. E mai come in questo caso è lecito dire che dagli occhi dell'artista sgorgano le lacrime di un'umanità intera: David Tibet, anima fragile ed ipersensibile, è un fuscello sballottato ed aggredito dai venti freddi ed impetuosi della vita. E proprio questa vulnerabilità si dimostra essere la sua arma vincente, poiché è quella che gli permette di penetrare l'essenza delle cose: il mondo lo invade e lo violenta, fluendo semplicemente per quelle porte spalancate e prive di difese che sono i sensi di un'essere sensibile. E tramite la sua voce ci vengono tradotti ed amplificati proprio questi flussi di energia che ci attraversano ma che il più delle volte non siamo in grado di cogliere, rimanendo così al di fuori della nostra consapevolezza. Un po' come succede con artisti come Nick Drake o Florian Fricke: attraverso il medium artistico, anche noi possiamo così accedere laddove la ragione non arriva, laddove ogni tentativo di spiegazione logica fallisce miseramente.

In realtà "Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow", uscito nel 1988, appartiene ad una seconda fase artistica dei Current 93, quella in cui gli esperimenti sonori della band, ancora improntati su lunghe suite dal forte impatto visionario, vengono immersi in una dimensione maggiormente melodica che in passato, aprendo così spiragli alla fruttuosa stagione folk che verrà di lì a poco. Dopo un album vario e influenzato dal neo-folk dei Death in June come era stato "Swastikas for Goddy", "Imperium" aveva sancito un ritorno alle ossessioni del passato attraverso un approccio meno anarchico e più ragionato (più "canonicamente musicale", potremmo dire). E questo "Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow", grondante allo stesso modo di riferimenti biblici, non fa che proseguirne il discorso. Meno incentrato sui temi della vita e della mortalità ("Imperium", ricordiamolo, fu scritto durante la degenza in ospedale di un Tibet in pericolo di vita), l'attenzione viene qui volta verso le diverse "mitologie cristiane", e l'argomentare assume un taglio teologico.

Estenuante fin dal titolo, "Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow" è un colosso di oltre settanta minuti che metterà a dura prova la resistenza dell'ascoltatore meglio disposto. Qui, c'è da dire, il subliminale sfocia nella vera noia, e viceversa. E non si capisce bene se alla fine dell'ascolto (ammesso che ci si arrivi) la sensazione di stordimento che avremo sarà dovuta alla forza evocativa della musica o semplicemente all'eccessiva monotonia della stessa. Ad accompagnare il buon Tibet (che abbandona definitivamente il suo peculiare latrato metafisico in favore di un più suggestivo recitato pulito), troviamo ancora l'amico Douglas P. (chitarra, voce e percussioni), ed anche questa volta, non c'è dubbio al riguardo, le influenze Death in June saranno pesantemente influenti. A completare la line-up troviamo la dolce Rose McDowell (chitarra e voce), oramai divenuta a tutti gli effetti la musa della band, e Tony Wakeford dei Sol Invictus al basso (scioccante vedere il suo nome accanto a quello di Douglas P.!). Indispensabile come al solito, infine, l'apporto dell'immancabile Steven Stapleton (alla chitarra ed agli effettazzi), mentre il lavoro al mix, questa volta, è delegato ad un certo Dik, che si occuperà pure delle parti di pianoforte.

"Dogun" è un assalto di fosco industrial in cui il flebile sussurro di Tibet viene letteralmente subissato dal fragore delle percussioni e dallo sferragliare della chitarra di Douglas P.: un pezzo, questo, che richiama inevitabilmente alla mente i Death in June di "Nada!", e che riporta la musica dei Current alle asperità degli esordi (inquietanti i cori di monaci rallentati e le voci velocizzate in sottofondo). "Forever Changing" è invece una lettura di un testo di Hildegard von Bingen: forse un po' troppo lunga e monotona (quasi dieci minuti), si compone di scarni accordi di pianoforte e di cadenzati colpi di basso. La voce pulita di Tibet, evidentemente non ancora al suo top, anticipa gli allucinati soliloqui che il tetro folletto dispenserà abbondantemente in futuro. Con il brano seguente, "The Ballad of the Pale Christ", una suggestiva ballata acustica dai vaghi richiami settantiani, le cose vanno decisamente meglio: sorretta dall'inconfondibile chitarra di Pearce e rinvigorita dai controcanti di Rose McDowell, la voce di Tibet, seppur ancora sgraziata, sembra finalmente trovarsi a suo agio nella nuova dimensione acustica.

Ma è con "Christ and the Pale Queens", la prima parte di una ideale trilogia che proseguirà con "The Breath and the Pain of God" e "Mighty in Sorrow", che tuttavia si entra nel vivo dell'opera: venti minuti di pure emozioni in un crescendo apocalittico da brividi in cui si vanno a fondere progressivamente inquieti sussurri, ariose tastiere, ricami di basso, possenti percussioni, paranoici giri di violino e il canto spiritato di Tibet, al quale si uniranno nell'infinito finale i cori angelici di Rose McDowell. Questo è il capolavoro dell'album. Questo, forse, è l'apice dell'industrial esoterico, un pezzo dall'immenso potere straniante che vi avvolgerà in una confortevole ragnatela di suoni e melodie ripetute all'ossessione, ma arricchite di volta in volta da sempre nuove variazioni.

Gli ultimi tre pezzi dell'album, infine, vanno a rimescolare le carte in tavola, apportando ben poche novità al sound proposto fino a questo momento: "The Red Face of God" non è altro che un remix (francamente intuile) dell'opener "Dogun", mentre la già citata "The Breath and the Pain of God" è un reprise della mastodontica title-track, della quale ribadirà il tema principale, andando a ripetere per circa una milionata di volte la frase "Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow". Non paghi di averci lesionato abbastanza le orecchie , i Current decidono, nel finale, di regalarci un pezzo come "Mighty in Sorrow", una logorante appendice del brano precedente, in cui lo stesso giro di violino (che già avevamo apprezzato nel marasma della title-track) viene ripetuto in loop per quasi venti minuti, accompagnato da voci effettate e malate percussioni: un'agonia sonora che si protrarrà spietatamente fino al momento in cui il cervello sbomballerà definitivamente nella testa, portando a stati d'ansia e di paranoia tali da far perdere ogni cognizione di spazio e di tempo.

Difficilissimo, anzi impossibile arrivare fino alla fine. Un po' come questa recensione. Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow...

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