"Dawn", uscito solo vinile nel 1985 ed edito successivamente su cd, sancisce un ritorno alle irruenze dei primissimi tempi (dopo la parentesi ambientale di "In Menstrual Night"), ma è oramai sempre più evidente come la formula, a suo tempo rivoluzionaria, inizi a mostrare seri segni di cedimento. Un fisiologico e comprensibile calo d'ispirazione, se si pensa che si tratta della quinta uscita in appena due anni di attività. Un cul de sac che verrà superato con la sterzata folk di "Swastikas for Goddy". I successivi "Imperium" e "Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow" saranno ulteriori passi verso quelle atmosfere mistiche ed intimistiche che caratterizzeranno la maturità artistica della band.
"Dawn", ultimo tassello della prima fase artistica dei Current 93, si compone di quattro lunghe composizioni che ci riportano appunto alle terribili ambientazioni del primissimo "Nature Unveiled". Come viene spiegato nelle note del booklet interno, a far parte del collettivo erano all'epoca David Tibet, Steven Stapleton, John Fothergill, Annie Anxiety (musa dei Crass, band molto stimata da Tibet), John Balance, Douglas P., Rose McDowall, John Murphy, Roger Smith, Nick Rogers.
L'opener "Great Black Time" è il pezzo forte dell'album, un brano che si colloca fra le cose più significative di questo periodo, al pari di classici come "Maldoror is Dead", "Falling Back in Fields of Rape" e "Jesus Wept": introdotto dallo scarno recitato di Tibet, il pezzo si dipanerà per più di un quarto d'ora fra gli squarci sonori di un ipnotico ed ultra-riverberato scampanellìo, la danza sbilenca di un organetto da circo e lo strisciare cacofonico dei feedback di chitarra. Accantonate momentaneamente le atmosfere sulfuree della passata produzione, la musica dei Current approda a lidi decisamente più noise-oriented, lasciando così emergere in tutta la sua prorompenza l'anima sperimentale della formazione (inconfondibile il tocco di Stapleton, la cui opera di manipolazione ed assemblaggio richiama più di una volta alla mente la sua creatura Nurse with Wound). L'originalità, la classe e la perizia tecnica dei Current 93 stanno proprio nel saper rendere interessanti e tutt'altro che noiosi quindici minuti di puro caos. A destare l'attenzione sarà il continuo andirivieni di un piano classicheggiante, mentre l'incursione visionaria della dolce voce della McDowall che intona un tema tradizionale nel bel mezzo di una temibile orgia di rumori è davvero un momento di estrema suggestione, l'ennesimo guizzo di genio di una band che non smette mai di stupire. Ma l'uscita che più ci sorprenderà sarà certamente udire gli echi festoioli della celebre "California Dreaming" dei Mamas and Papas che si affaccia di tanto in tanto nel delirio, andando a sottolineare un'ironia e una voglia di divertirsi che fa davvero piacere ritrovare in una band che si è resa nonostante tutto responsabile della musica più terribile di questo mondo.
La seguente "Maldoror est Mort", come intuibile dal titolo, è invece l'ennesimo (e non ultimo, purtroppo) rifacimento di "Maldoror is Dead", originariamente presente in "Nature Unveiled" ed abbondantemente riletta in "Live at Bar Maldoror". Che dire, se da un lato, non differendo di molto dall'originale, appare come un'operazione tutto sommato ridondante, dall'altro, alla luce dell'attuale irreperibilità di "Nature Unveiled", può essere di estremo interesse per chi non ha avuto modo di conoscere i primissimi Current e vuole saggiarne la forza espressiva. Perché questa, ragazzi, è una nuova forma di psichedelia bella e buona, dove al posto di un Waters intento a sbatacchiare un gong ed un Gilmour in infradito a smanettare con gli effetti della chitarra troviamo un Tibet dagli occhi nero-cerchiati che ciondola mestamente per il palco ad esibire il suo fisico da deportato e a vomitare orribili suoni sul povero microfono. Una musica che fa viaggiare la mente, non più attraverso le improvvisazioni e le soluzioni sceniche di un rock in stato di liquefazione, ma attraverso il bombardamento e le manipolazioni dell'elettronica più glaciale. Una musica che non mira più esclusivamente a scombussolare il cervello, ma che punta direttamente all' "anima". Una sorta di psichedelia post-utopica e nichilista che tende, attraverso la suggestione e le visioni che essa suscita, ad incutere stati di paura ed ansia nell'ascoltatore.
Segue "A Day in Dogland", un esercizio di collage che ci riporta alle atmosfere del precedente "In Menstrual Night": in essa si va a mettere insieme le tetre orchestrazioni della celebre marcia funebre di Mozart, i misticheggianti fraseggi di organo e un coro sacro, con risultati fra il surreale e l'inquietante. Suggestivo l'insinuarsi, nel finale, di una voce che canta "Greenleaves" accompagnata da violino e mandolino. Seppur parlando la sempiterna ed irrinunciabile lingua delle dissonanze, il pezzo costituirà una tonificante pausa per le nostre orecchie (e per la nostra mente, ancora ottenebrata dagli abissali diciotto minuti della composizione precedente). Si tratta naturalmente della quiete prima della tempesta, poiché l'ultima traccia, "Extra Ecclesiam Nulla Salus", è una nuova discesa negli inferi, e nel marasma sonoro faranno capolino ancora una volta campionamenti pescati dall'onnipresente "Maldoror is Dead". Capiamo l'importanza per Tibet di un pezzo del genere (che, a stare a certe voci, si ispirerebbe alla morte prematura del suo primo figlio), ma francamente ritrovarlo per la quarta volta nell'arco di cinque album è decisamente troppo anche per i fan più comprensivi della band.
Nella ristampa su cd, infine, troviamo collocata come terza traccia un'altra versione di "Great Black Time": non molto dissimile da quella già sentita, si tratta però della prima incisione del brano, quella originariamente presente su vinile, in seguito perduta e finalmente recuperata e qui riproposta. Questa versione appare più quadrata ed aggressiva, animata dal campionamento della vociaccia roca di Barry McGuire, estrapolata da "Eve of Destruction", una sorta di "...destructioneveofdestructioneveofdestruction..." ripetuto ossessivamente per quasi tutta la durata del brano, e che finisce per fungere da vero e proprio escamotage ritmico.
"Dawn" non è sicuramente l'album più brillante dei Current 93, e di certo non testimonia un momento di estrema ispirazione per Tibet e soci. Ad ogni modo, anche in questo frangente, i Current dimostrano la stoffa, l'inventiva, l'originalità di una di band unica, fondatrice di un genere musicale e leader incontrastata di una scena. Con risultati, nonostante tutto, inarrivabili da chiunque altro si voglia cimentare in questo tipo di musica. La classe, del resto, non è acqua... neanche quando viene un poco annacquata...
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