Con qualche giorno di ritardo (e sull'onda delle emozioni ancora vive) mi appresto a buttare giù due righe sconclusionate su quello che probabilmente è da annoverare fra gli eventi più importanti dell'anno in ambito dark e derivati: la calata italica della creatura di David Tibet in compagnia dell'eterno cuginetto Steven Stapleton (che il giorno successiva porterà sullo stesso palco i suoi Nurse with Wound!), ad un prezzo complessivo di 15 miseri euri, non poteva non attirare dall'intero territorio nazionale orde fameliche di fanatici del verbo oscuro. E non è un caso che fuori dal modesto Teatro Alfieri di Torino non campeggi nemmeno una misera locandina a richiamare l'evento: tanto chi ci doveva essere già lo sapeva, e chi c'era già si era prenotato on line la sua preziosa poltroncina.
Facile riconoscere, in una tranquilla e mesta Torino di un tiepido martedì sera, i loschi figuri accorsi: mai i miei occhi hanno avuto modo di avere innanzi una platea tanto eterogenea quanto nettamente distinguibile dal resto del mondo. Le sonorità settantiane esplorate nell'ultimo fantasmagorico full-lenght "Aleph at the Hallucinatory Mountain" attira così non solo la consueta fauna dark, rigorosamente nero agghindata e stronza come sempre, ma anche un manipolo di sfalloppiati che sembrano uscire dagli incubi peggiori di un Neil Young dopo una serata di sodomia con Tony Iommy. Fra ragazzine con zazzeretta ed anfibio e quarantenni pelati dai lunghi capelli sfibrati e barbe alltrettanto cispiose, si annidano infine una serie di intellettualoidi (occhialetto fashion e borsetta a tracolla) che vanno a rappresentare il terzo polo da cui sembra essere costituita oggi la folla dei sostenitori di David Tibet.
Fra la mischia accalcata nell'atrio del teatro, fa piacere scorgere la goffa figura di Stapleton, intento a vendere i suoi cd (confondendosi persino sui prezzi), tanto per far cassa ed andarci in pari. Ma siccome non sono un feticista: apprezzo, acquisto, ma non chiedo autografi.
Fatta la premessa, passiamo al sodo:
Il canto del vuoto tagliente
Atto primo:
Current 93
James Blackshaw
Una tremenda musica country scorre in filo diffusione, e mi vien da pensare quanto sia stronzo Tibet. Una batteria, diverse chitarre sostano sul palco: meno male, penso, che c'è il pianoforte a coda di Baby Dee...
Entra James Blackshaw, giovane talentuoso delle 12 corde (!!!), promosso dal sempre vigile Michael Gira, circuito poi da Tibet e caricato sul suo bizzarro carrozzone. Il ragazzuolo ci sa indubbiamente fare con la chitarra, ma gli manca il carisma per sostenere la parte del dignitoso antipasto per un grande evento: fremo, e non son contento, a tratti mi annoio. Il suo set di circa venti minuti, a base di melense escursioni acustiche, scorre comunque liscio, nonostante qua e là il ditino unghiato non becchi la nota giusta... sarà la giovane età, sarà la tensione di trovarsi davanti ad un pubblico tutto sommato nutrito. Ma quando il Nick Drake de noaltri ringrazia e si alza, tiro un sospiro di sollievo, tanta è la mia voglia di ritrovarmi a tu per tu con mr David Tibet.
Entrano quelli che sono i Current 93 stasera, e l'impressione è quella di ritrovarsi innanzi ad una compagnia di disgraziati: dal giovane hippie (Blackshaw appunto) al fetido clochard (Baby Dee, inguardabile come sempre) l'ingresso dei Nostri suscita in me ilarità, sospendendomi in una sensazione fra l'esilarante e il surreale. Entra poi il solito Tibet, scalzo, solita camicia del cazzo, giacca del cazzo e cappello del cazzo.
In questa epifania sta forse il miglior frangente della serata, che reputo (attenzione attenzione) alquanto deludente (oooohhhh - muggiti di sorpresa e scompenso...). Ebbene sì, amici di Tibet che per mille e comprensibili ragioni siete rimasti a casa a rosicarvi il culo: non vi siete persi l'evento della vita! Si sapeva: i Current 93 non sono Vasco Rossi, che te la fa sempre prendere bene con la sua sfilza di 30 immancabili classici; sospettavo anche che un album come "Aleph at the Hallucinatory Mountain", così infarcito di elettronica, violini, violoncelli, controcanti e quant'altro, sarebbe stato ostico da servire su un palco a presa diretta. Si presentava un dilemma nella mia mente: o qui si dà sfogo all'elettricità e si spacca di brutto, oppure si fa solo casino e ci si rompe il cazzo.
Purtroppo si è verificata la seconda ipotesi: del resto cosa aspettarsi da una formazione improvvisata come quella di stasera, inadatta a rendere la complessità del verbo della Corrente? Non si percepisce coesione fra i musicisti e la dotta impalcatura issata nell'ultimo ottimo lavoro sembra reggersi su fragili fili, è una struttura caracollante, retta dalla altalenante rete melodica tessuta pazientemente dal piano di Baby Dee e dalla chitarra elettrica di Blackshaw. Non ci si può lamentare di Tibet, tutto sommato in forma, che sa regalarci i suoi proverbiali guizzi di genio; ma la sua performance, stasera, ha un che di artefatto, e raramente il Nostro saprà toccare i picchi emotivi che è stato in grado di raggiungere in altre circostanze.
A deludere è soprattutto la scaletta, incentrata comprensibilmente sul materiale più recente, ma che, ahimè, si dimentica totalmente del passato. E non è un bene.
"Invocation of Almost" ha un passo claudicante, le chitarre non graffiano abbastanza, lo spiattare della batteria non soffia quel polverone che invece ci aveva accecato su disco. Tibet inutilmente abbraccia la chitarra (la terza!) ma la posa subito accanto al cappello, preferendo avere libertà di movimento per cimentarsi nelle sue consuete contorsioni da fachiro invasato.
La prima parte del set si muove al passo elefantesco dei pezzi più duri dell'album, che scorrono in maniera abbastanza anonima. Apprezzabile il tentativo, non sempre riuscito, ma indispensabile, di ri-arrangiare i brani e stravolgerli sull'onda dell'improvvisazione. Ma i Current di stasera non sono i Grateful Dead, spesso il rock viene mitigato dal pianoforte, mentre le ballate si elettrificano, cosicché l'intera esecuzione finisce per assumere le sembianze di una monotona poltiglia sonora che cresce, scende, risale, ma non sempre convince.
Con un'intima esecuzione di "Urshadow", parentesi acustica in cui solo Tibet e Blackshaw presenziano sul palco, si chiude lo spazio giustamente tributato alla promozione dell'ultima fatica discografica. Dovrebbe aprirsi così il momento tanto atteso dei classici (ma che so, un pezzo di "Black Soft Stars", cazzo ne so, mica sto a chiedere "Oh Coal Black Smith" o "Lucifer Over London"!). Il tutto invece si esaurisce in una versione surf (!!!) di "Black Ships Ate the Sky", con tanto di Tibet sculettante (indubbiamente il momento più divertente della serata) e con "Niemandswasser" (da "Sleep His Has House"), elettrificata, e riportata quindi sulle coordinate dei nuovi Current. Bel momento, in ogni caso.
Apprezzabile l'idea di riproporre per intero l'ep "Birth Canal Blues", dello scorso anno. Ovviamente la resa live impone delle scelte ben precise: niente effetti vocali per Tibet, molta elettricità sul pianoforte di Baby Dee. La cosa funge, le quattro ballate sono infuocate, Tibet dà il meglio di sé, la serata acquisisce finalmente connotati apocalittici. Nel finale di "Suddently the Living are Dying" si ha la balzana idea di ospitare sul palco una darkettona che s'improvvisa danzatrice del ventre, le cui movenze sinuose ben si allineano alle note dolenti del pezzo, ma non molto alla mia sensibilità, poco avvezza a baracconate del genere.
Il palco si svuota e si riempie nuovamente per l'immancabile bis: una seconda versione di "Not Because the Fox Barks" (prima sorretta dal pianoforte, adesso dall'organetto sconclusionato di Baby Dee). Certo, tutto molto bello, ma la domanda sorge spontanea: ma porca puttana! Con alle spalle un'infinità di pubblicazioni che nemmeno Tibet sa quante cazzo sono, c'era davvero bisogno di riproporre uno stesso pezzo per ben due volte nell'arco di una modesta ora e mezza? Dopo che poveri disgraziati che siam noaltri hanno preso permessi, ferie, hanno sfanculato le proprie donne, hanno macinato chilometri, speso vagonate di quattrini, bevuto litri di birra?
Per chi ha avuto l'onore di assistere il giorno dopo all'esibizione di Nurse with Wound, ci sarà una grande consolazione.... Ma di questo vi parlerò fra breve, intanto lasciatemi gridare: menomale che ci sei tu, gran vecchio gonfio di Stapleton!!!
Set-list
"Invocation of Almost" ("Aleph at the Hallucinatory Mountain")
"On Docetic Mountain" (Aleph at the Hallucinatory Mountain")
"Aleph is the Butterfly Net" (Aleph at the Hallucinatory Mountain")
"Not Because the Fox Barks" ("Aleph at the Hallucinatory Mountain")
"UrShadow" ("Aleph at the Hallucinatory Mountain")
"Black Ships Ate the Sky" ("Black Ships Ate the Sky")
"Niemandswasser" ("Sleep His Has House")
"I Looked to the South Side of the Door" ("Birth Canal Blues")
"She Took Us to the Places Where the Sun Sets" ("Birth Canal Blues")
"The Nylon Lion Attacks as Kingdom" ("Birth Canal Blues")
"Suddently the Living are Dying" ("Birth Canal Blues")
"Not Because the Fox Barks - reprise" ("Aleph at the Hallucinatory Mountain")
Carico i commenti... con calma