Mi è estremamente difficile trovare parole consone a descrivere questa opera meravigliosa, impenetrabile. Un'opera pudica, timida, con la quale bisogna saper dialogare, entrare in intimo contatto. Della quale bisogna conquistare la fiducia, affinchè essa non opponga più resistenza alcuna e si lasci arrendevolmente denudare, velo dopo velo, ascolto dopo ascolto. Un'esperienza più che un'opera d'arte.

Il folk di "Thunder Perfect Mind", che era stato il capostipite del nuovo corso dei Current 93, viene sublimato in questo nuovo lavoro del 1994. In "Of Ruine or Some Blazing Starre" le sonorità folk divengono, ancor più che in passato, il veicolo per esprimere un'esperienza mistica, intima, un'esperienza che riaggiorna i travagli spirituali patiti in "Imperium" e li rilegge attraverso le note cristalline di un folk senza tempo. E laddove in "Imperium" si parlava di Morte, qui si parla di Vita. E laddove "Imperium" grondava di citazioni bibliche, qui a parlare è il cuore di David Tibet.

Un flusso di coscienza che supera e decompone definitivamente il formato canzone che la veste folk aveva restituito alla Corrente, che oggi torna a smaterializzarsi nell'effluvio di quattordici gioielli incastonati con grazia ed armonia in un'unica, articolata, sofferta composizione. Emozioni trasportate dalla struggente chitarra di Michael Cashmore, dalle gentili manipolazioni elettroniche di Steven Stapleton, dal suggestivo recitato di David Tibet, probabilmente alla sua prova migliore: la sua voce è finalmente uno strumento perfettamente accordato, in ogni sua parola, verso, esclamazione o lamento si rivelano le infinire sfumature del suo mondo interiore, lo stridere, il contorcersi, lo sconquasso delle fragili corde che tessono la sua anima tormentata.
Tibet, supportato qua e là dalla voce fatata di Phoebe Cheshire, fa propria l'arte dei menestrelli medievali, quelli che con pathos interpretativo e guizzi teatrali ricreavano mondi, conducevano altrove, calamitavano l'attenzione di un pubblico rapito ed estasiato. Tibet prende questa arte e la sposa con la rivoluzione letteraria di James Joyce e di Virginia Woolf, con il poetare apocalittico di Jim Morrison e di Nick Cave, con il farneticare invasato di un medium invaso da estatiche visioni.

"The Broken Heart of Man" è il sottotitolo dell'album e va a palesare i due differenti piani che percorrono parallelamente l'opera: la dimensione biografica di Tibet e la dimensione esistenziale dell'umanità intera. "Of Ruine or Some Blazing Starre" è un diaro musicato, specchio di un'anima inquieta, pregno dei suoi affanni e delle sue tortuose evoluzioni. La prostrazione dell'anima di Tibet, la sua inadeguatezza, la sua debolezza, la sua solitudine sono al contempo l'inadeguatezza, la debolezza e la solitudine di tutti gli uomini, accomunati dai medesimi dubbi insolubili, dalle medesime paure insanabili, dalla medesima, transitoria, fragile, inspiegabile condizione esistenziale. Le bellissime "All the World Makes Great Blood" e "The Great, Bloody and Bruised Veil of the World" ce lo raccontano con eleganza e semplicità.

Un viaggio spirituale, una ricerca nel buio, per tentativi, errori, cadute.

"Circles within circles, we ride through them all" sono i versi con cui Tibet ci invita al suo rito: un gioco di luci ed ombre, dall'Ombra alla Luce, per cerchi concentrici. Un viaggio fuori dal tempo, attraverso Londra, Lipsia, Kathmandu, per luoghi allegorici, tappe simboliche, un cammino spirituale irto di ostacoli, attraversato da lacerazioni sanguinanti, fratture profonde, abissi insondabili.

L'Universale nel Particolare, "the Great in the Small".

Voci, battibecchi interiori, echi di un passato lontano, un affollarsi di immagini, pensieri. Un fiume che serpeggia, a tratti impetuoso, a tratti placido, in una valle mistica, fra la rabbia, la desolazione, l'instupidimento innanzi alla incapacità di valicare il muro dell'incomprensione, e nuovi impeti di rinnovato vigore: il coraggio, la volontà di procedere e non fermarsi nonostante tutto, inciampando, incespicando nel miraggio di quel flebile filo di luce che trapela, non si sa come, da una sottile fessura apertasi fra le rocce che ci sbarrano la strada.
Protagonista: la speranza, che, mano a mano che il viaggio procede e volge al suo termine, rasserena, come un bagliore lontano in un cielo ammorbato da nere nubi, il cammino del viandante. Anche solo per un momento, anche solo per un fugace e transitorio frangente di consapevolezza e felicità. Anche se quel momento, si sa, è destinato ad essere adombrato da nuovi dubbi, nuove paure, nuove incertezze. Il balletto sbilenco e bizzarro della Vita.

Non voglio ulteriormente sporcare con parole l'immagine sacra e pura di questo lavoro che ritengo il mio favorito fra i tanti capolavori che Tibet e soci hanno saputo nel corso degli anni elargire a tutti noi. Ognuno ha un album nel cuore, questo è il mio.

Lascio a voi il gusto, il piacere, l'ebbrezza del dolce naufragar in queste note.

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