“The Starres are Marching Sadly Home (Theinmostlightthirdandfinal)” è il terzo capitolo della trilogia “The Inmost Light”. Uscito nel 1996, pochi mesi dopo “All the Pretty Little Horses”, esso riprende le sonorità esplorate con il primo tomo della trilogia “Where the Long Shadows Fall”.

Come il primo atto, anche “The Starres are Marching Sadly Home” è un lavoro breve, un'unica traccia ambientale in cui vanno a sfumare i toni tesi e drammatici che erano stati rinvenuti in “All the Pretty Little Horses”. Gli elementi di continuità sono quindi palesi, non solo nel medium espressivo prescelto (un oscuro e claustrofobico dark-ambient, tappeto ideale per la poetica apocalittica di Tibet), ma anche in certi rimandi agli episodi precedenti: è sempre presente il canto di Alessandro Moreschi (che, campionato e ripetuto ossessivamente, aveva costituito l'ossatura del primo atto, e che qui viene invece ripreso e sottoposto ad un'opera di rarefazione sonora, divenendo un conturbante, sinuoso e rallentato paesaggio sonoro, come se il canto dell'”ultimo castrato” fosse divenuto il sibilo lontano di un fantasma che vaga senza dimora); la chiusura dell'opera, invece, viene affidata alla folk-singer Shirlie Collins (magistrale la sua interpretazione), il cui canto solitario echeggia nel niente che segue l'Apocalisse: è l'ennesima rivisitazione del brano tradizionale “All the Pretty Little Horses”, già interpretato nel lavoro precedente dallo stesso Tibet e da un ospite d'eccezione qual era stato Nick Cave.

L'album ha quindi una durata contenuta (poco più di venti minuti), e si compone di una sola traccia che ha l'onore e l'onere di chiudere quel fantastico viaggio che porta il nome di “The Inmost Light”. Le prime strofe sono deliranti, Tibet intona una farneticante filastrocca che apre un cammino che si fa ancora più tenebroso che in principio, un sentiero infestato da inquietanti voci di spettri e da scricchiolii di argani arrugginiti di antri che conducono chissà dove. L'ambient patrocinato da Steven Stapleton questa volta non è illuminato dall'estro di Michael Cashmore, ma solo dalla chitarra (impercettibile) di David Kenny e dalle incursioni vocali di Roxanne Stapleton (figlia di Stapleton) e Andria Deggens, moglie dello stesso Tibet, a cui il lavoro è amorevolmente dedicato.

Nel complesso “The Starres are Marching Sadly Home” ha la medesima valenza di “Where the Long Shadows Fall”, rappresentando un frammento che è giudicabile solo a fronte dell'ascolto dell'intera trilogia. Tuttavia ci risulta leggermente migliore della sua parte gemella, più curato nei dettagli, meno ripetitivo, maggiormente vicino, per la sinergia che si viene a creare fra i meticolosi soundscape e l'interpretazione di Tibet, alle collaborazioni fra la band e lo scrittore Thomas Ligotti.

L'impianto musicale fa quindi da semplice sfondo sonoro alle desolanti narrazioni di Tibet che, pervaso da un angoscioso senso di irrisolta fragilità esistenziale, tesse l'epilogo di un'importante tappa nell'evoluzione del suo cammino spirituale: la chiusura del cerchio all'insegna delle tenebre, infatti, non costituisce affatto un semplice ritorno al capolinea, poiché nel frattempo il viaggio spirituale di David Tibet ha depositato delle premesse che divengono propedeutiche per un nuovo inizio. Come spesso capita negli album dei Current 93, alla stregua di tappe compiute dall'animo tormentato del suo nero cantore, i toni apocalittici tornano ad infestare gli umori del congedo finale, come se il viandante, condannato da un insanabile peccato originario, debba comunque scontare la sua pena. Ma mai come in questa triade di lavori, l'apocalisse acquisisce anche un sorta di potere catartico, come se si trattasse di un grandioso e terribile rito di purificazione in cui il viandante può finalmente liberarsi e redimersi dal Male, intrinsecamente legato alla sua condizione di essere umano.

E così la salvezza richiede il sacrificio supremo, mentre nel percorso irrequieto di Tibet, piccolo Sisifo intento a spingere la sua pietra in cima alla montagna per vederla poi irrimediabilmente scivolare lungo il pendio, viene raggiunta una nuova consapevolezza: una parziale consapevolezza pronta ad essere incrinata e poi spezzata da nuovi dubbi e nuove questioni insolubili.

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