Sembra quasi un controsenso il titolo di questo album "Come Clean", che suona tutto tranne che pulito come sound.

Siamo nel 1997, dopo tre ep e due album studio, i Curve, superato un breve periodo di riposo quasi forzato, progetti solisti e problemi interni al gruppo, ritornano sulla scena abbandonando quel genere dark-shoegaze e avvicinandosi all'industrial, misto di ritmi elettronici e dance. Nonostante quest'inversione di tendenza, ritengo che questo "Come Clean" sia un album da non sottovalutare. Sarà che in questo periodo soffro di "Curvite cronica", sarà il caldo o quel che volete, ma questo sound sporco, l'utilizzo di campionamenti, quei sibili della Halliday a metà tra il cantato e il parlato così pacati, stonati e surreali da far rabbrividire e addentrare in un'atmosfera futuristica, stimolano giorno dopo giorno la voglia di voler questo duo di nuovo sulle scene.

L'album è tutto un misto di suoni distorti, c'è un mescolamento di canzoni molto più forti e dannatamente industrial ("Chinese Burn", "Dog Bone", "Cotton Candy"), altre più introspettive e cupe, con quel fascino dell'elettronica che le rende particolarmente piacevoli ("Coming Up Roses", "Something Familiar", "Beyond Reach", "Recovery"), altre ancora semplicemente folli ("Come Clean", "Killer Baby"). In effetti si sente molto l'influenza e l'avvento tecnologico, la mano di Alan Moulder, la ricerca di un nuovo sound, la rottura con il passato, le chitarre quasi inesistenti che lasciano il posto alle tastiere ed agli effetti. Non credo visti anche i successivi lavori sempre rivolti verso la sperimentazione di questo genere che i fan abbiano molto apprezzato questo cambio di stile, eppure nonstante ciò pochi album mi hanno affascinato al primo ascolto come questo, lasciandomi stordito ma allo stesso tempo soddisfatto e anche malinconicamente cupo. 

Da riscoprire e rivalutare sicuramente

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