Si discorre molto di social networks, di interazioni virtuali, di nuovi media e di web 2.0. Il fior fiore della sociologia è impegnato oramai da anni per dare una rigorosa motivazione a questa ed altre controverse tematiche che si diramano dallo sdoppiamento cybernetico dell'ego, alla desiderio spasmodico di edificare quasi magicamente un Eden non tangibile, alla volontà di abbandonare questo mondo di lacrime approdando in una dimensione dove le lacrime scorrono dappertutto tranne che sui visi umani.

La proliferazione di alter verosimiglianti o completamente corrotti, la ricerca di una perfezione moral - estetica poco ambita in contesti reali e il distacco dall'impassibile regno delle cose sono solo alcuni dei fenomeni che hanno fatto urlare alla nuova utopia del XXI secolo: comunichiamo simultaneamente senza essere inseriti in un contesto di concreta compresenza, aboliamo nettamente le barriere spazio - temporali, adoperiamo i mezzi di massa scambiandoci i ruoli di produttori e destinatari dei messaggi, partecipiamo e veniamo coinvolti (anche non intenzionalmente) in relazioni mediatiche dove le gerarchie sociali contano (e dovrebbero contare) zero, dove si è "cristianamente" (quasi) uguali. Detto con questi termini la televisione - assieme alle proprie strategie di adescamento popolare - paiono roba simil - medioevale: noi spettatori ci piazzavamo sul divano aspettando la grazia di qualche format piacevole e gradito senza avere la benché minima possibilità di intervenire sulla produzione dei messaggi forniti; il massimo concesso era spegnere l'apparecchio e optare per attività alternative. La realtà "dura e cruda" della televisione era (ed è ancora in parte) la passività dei destinatari, costretti a visionare caterve di spettacoli senza accedere all'essenza degli stessi: la frontiera produttore - ricevente si diradava una volta "bucato lo schermo" ed entrato nello staff dei "demiurghi catodici", azione divenuta oggigiorno banale per masse di idioti patentati semianalfabeti e complicatissima per chi ha veramente qualcosa da dire.

Utopia chiama anche distopia: a questa strabiliante facilità/rapidità nello scambiarsi informazioni, nel modificare (anche irreversibilmente) il sé e nel plasmare mini celebrità virtuali lontane dai riflettori si aggiungono lo spettro della falsità istituzionalizzata online, la "farlocconaggine" di utenti insoddisfatti della propria esistenza terrestre che, viaggiando per infinite e indefinite autostrade web senza caselli e autogrill, edificano e manipolano dal nulla personalità nuove e inedite spacciandole per reali e vitali. A rimetterci, in primis, i bonari innocenti e ingenui avventori poco allenati e/o ancora non temprati da truffe e finzioni; successivamente risultano vulnerabili anche i medesimi pirati connessi una volta rivelato l'inganno e disquisito l'ingannatore. Non sempre, comunque, giustizia è fatta: più delle volte la corruzione dei social network non solo non viene punita ma prosegue nella sua "virale" infiltrazione all'interno degli ingranaggi del sistema mediatico online.

Feisbum (doverosa alterazione semantica del celeberrimo Facebook) illustra vivacemente e comicamente l'incerta configurazione delle reti sociali virtuali, stigmatizzando, seppur con leggerezza e spiritosaggine, l'enorme facilità che l'utente possiede nel plasmare alter totalmente avulsi dalla cruda realtà e nell'alienarsi da quest'ultima, compromettendo non solo la propria esistenza, ma anche quella altrui. Otto capitoli e cinque corti (di pochissimi minuti) - diretti da ben sette registi - raffiguranti in lungo e in largo la stereotipata macchina facebookiana smarrita fra perversioni, illusioni, rappresaglie, strategie, complotti, scandali, opportunismi e appetiti vari. In ogni episodio la frontiera fra tangibile e virtuale si fa sempre più grezza ed eterea, forzando i protagonisti a capire in che mondo stanno vivendo ed agendo, individui che non sempre hanno successo in questa "missione" cognitiva. In più occasioni si assiste a disastrosi (e tragicomici) crolli da parte dei web - addicted una volta appresa la non possibilità di distaccarsi in modo completo e autonomo dal suolo terrestre e dalle sue accidentali contingenze.

L'inizio del lungometraggio è uno shock: moglie intenta a navigare per social network, marito infuriato che prende a insultare la consorte per le sue negligenze casalinghe a favore del web. Il tutto sfocia in una irriverente lite che porta i coniugi a malmenarsi a vicenda e cadere tramortiti. E gli altri episodi non sono da meno: abbiamo un cassiere "bamboccione" che, spacciandosi su Feisbum come militare di stanza a Mogadiscio, adesca un'ingenua ragazza decisa a soccorrerlo spedendogli del denaro in procinto di depositarsi in conti correnti più vicini di quanto potesse immaginare; le peripezie di Gavino, meccanico allupato che incontra in rete una sedicente indiana decisa a convolare a nozze con lui senza neanche averlo visto di persona (fatto che attirerà la vendetta della moglie); la frantumazione (non proprio casuale) del matrimonio di Antonio e Valeria (figlia di bigottissimi napoletani tutto onore e famiglia) dovuta ad un tag inappropriato e scandaloso (il futuro marito alle prese con una scottante festa di addio al celibato); la lotta psicotica e sconnessa fra Jano e Sveva per l'ottenimento di maggiori amicizie online; infine, l'incontro di un annoiato e vecchio professore con una giovane dark conosciuta in rete.

Questo film rappresenta una sorta di frivola e stereotipata guida all'uso del web interattivo per ingenui mistificatori dei rischi del web. Faccia attenzione, dunque, a chi non è ancora inserito nel contesto dei social network e vuole farne parte.

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