Forse aveva ragione davvero il buon Brian Eno quando disse che "solo duemila persone comprarono il primo album dei Velvet Underground ma tutte finirono per fondare un gruppo". Una di queste persone è senza dubbio il neozelandese Roy Montgomery, uno dei musicisti rock contemporanei più innovativi e geniali, che nel 1992 varò il progetto Dadamah, collettivo autore di un solo album , album che però è stato uno dei più importanti del decennio appena trascorso. Tale album è appunto "This Is Not A Dream", disco sorprendente, fenomenale, capace di catturare al primo ascolto in maniera indelebile, e in cui l'influenza dei Velvet Underground si sente in modo inequivocabile.

L'apertura di "Limbo Swing" presenta già, in sintesi, quelle che sono le colonne portanti del disco: ovvero un suono dilatato, esteso, liquido, di matrice psichedelica, che avanza lentamente e sornione si impone alla nostra attenzione con fare maestoso. La voce della cantante segue passo passo quella della melodia: prima è sommessa, poi si fa via via più nevrotica, ansiosa, frenetica, quasi a simulare un attacco di follia epilettica.Un giro di tastiere sul finire ha l' effetto di creare un vortice nel quale tutto il suono sembra perdersi. La nevrosi, componente fondamentale dei "giovani arrabbiati" della new wave, è un altro punto cardine dell' opera, e la fa da padrone anche nella successiva "Papa Doc", dove il riff di apertura assomiglia in modo impressionante a quello della "I'm Waiting For The Man" reediana. Il raga che caratterizza il brano ha un suono sporco, brutale, nella migliore tradizione velvetiana, mentre il canto è spettrale, lugubre, cavernoso, e di tanto in tanto si fonde con i lamenti spasmodici alla Nico della cantante in sottofondo.

Le atmosfere sono spesso oniriche ( a dispetto del titolo che recita "questo non è un sogno") e l' incedere del basso si fa ossessivo in più di un' occasione. "Too Hot To Dry" è una litania lunga, anzi lunghissima; l' effetto di ulteriore lunghezza lo crea la chiatarra stanca, svogiata e ripetitiva, coadiuvata dal canto svuotato. "Brian' s Chldren" è un altra grande prova dei nostri, con quelle urla nel ritornello e quel basso che  emerge all' improvviso. Dove però i Dadamah raggiungono l' apice è "High Tension House", dalle atmosfere dark e quasi gotiche, con un giro di basso irresistibile, e la solita voce cavernosa e profetica , elementi che si ripresentano anche nell' altro capolavoro dell' opera, "High Time", in cui si ascoltano con sorpresa delle pulsazioni alla Suicide di contorno.

Altre sono le "chicche" che raccomandano l' acquisto di questo stupendo album, le distorsioni elettroniche di "Nicotine", in cui il canto si fa strada, l' atmosfera "On The Road" e gli effetti stranianti in sottofondo accompagnati da cacofonie spaziali di "Radio Brain", i sussurri e le linee continue, circolari, disegnate dal basso di "Replicant Emotions".
Tutto questo per dire che l' unico disco all' attivo dei Dadamah è un disco da divorare e consumare nel piatto del lettore. Ne vale davvero la pena.
 

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