Noioso, moscio, autoreferenziale, scialbo, inutile, vuoto, pretenzioso, antipatico, asettico, insipido, indigeribile, dilettante, petulante, protervo, cretino e banale.
"Random Access Memories" è questo e più.
Eppure ce ne vuole per non riconoscere che quest'ultimo lavoro dei Daft Punk lunge da essere un album decente, tanto più da un capolavoro.
Data la pochezza dell'opera, non c'è molto altro da aggiungere: composta da 13 pezzi con alla base un continuo rimando alla musica disco che tanto andava negli anni 70-80 farciti da elementi diversi a seconda della fetta di pubblico interessata.
Si inizia con il funk di "Give Life Back to Music", per passare poi al lento giro di basso di "The Game of Love", sfoggiando poi pezzi più complessi rispetto agli standard canonici dell'album come "Giorgio by Moroder" che è probabilmente uno dei pochi episodi da ricordare nell'album. Si passa poi dalla chill di "Within" al ritmo catchy/spacca palle di "Instant Crush", dal funk più chiccoso con "Lose Yourself to Dance" ai barocchismi di Touch che sfociano al più totale niente, a Get Lucky, un loop di chitarre e basso funky. Ci sono poi pezzi che ci stanno tanto per stare, tipo "Beyond" e "Fragments of Time", tra i quali però c'è "Motherboard", pezzo sperimentale che non aggiunge niente alla banalità del disco, stessa sorte tocca a "Doin' It Right". Si arriva poi all'epilogo dell'album, "Contact"(questa e "Giorgio By Moroder" sono gli unici episodi piacevoli di tutto il disco), una suite che non cambia granché il risultato del disco.
Un pregio, se così si può definire, il disco ce l'ha ed è quello di essere ben curato dal punto di vista del mixaggio. La produzione ottima però non cambia il giudizio dell'album, musicalmente povero, senza idee e banale che è stato impacchettato apposta per accontentare gli ascoltatori più disparati, per essere sparato in radio e per far gridare al capolavoro all'ascoltatore più superficiale.
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