Le cose vanno come vanno, non c'è nulla da fare. Certa musica è fatta per esser ascoltata in certi momenti, forzarla è svilirla.
Conservo momenti indimenticabili di una Napoli vestita d'autunno e silente d'alba, troppo tardi per andarsi a fottere le macchine, troppo presto per tutto il resto. Le saracinesche abbassate, i miei passi che rimbombano tra i muri dei palazzi sfatti e qualcuno che mi urla, mentre lo urla a qualcuno nell'altra parte del mondo, mentre altri sorseggiano il primo caffè della giornata, che «hai scritto sul mio corpo che non è la fine.»
Oggi passo le miei giornate posto di fronte ad una finestra, a scrivere dei massimi sistemi, sintetizzando e offendendo il possibile, per un pubblico che delle mie parole farà terra bruciata, carta igienica se tutto va per il verso giusto e convinto che non solo ho perso le redini - semmai le ho avute -, ma che sono anche schiacciate dagli zoccoli del cavallo del cavalliere che mi precede. E' una malinconia diversa, arrivata con la primavera, con il sole - arancione di pomeriggio - che passa tra le persiane. Mi offende gli occhi, ma è bello e con lui è arrivato questo disco.
"Y", del 2009, dei Daitro, da Lione. Screamo - ma non solo - in francese: una cosa fastidiosa solo a pensarla, fastidiosa sul serio, ma bella.
Questo disco è un concentrato di tristezze - di melanconie più che di tristezze -, un greatest hits di quello che non va nelle vite di chi lo canta eppure ha una scintilla, una vitalità inaspettata, una presa di posizione. E' primavera, mi devo domare: se non vivi ora quando vivi? Ecco.
Oltre lo Screamo - e questo è il comandamento di chi lo pratica oggi, ma con alterni successi ovviamente -; quasi post-Rock; quasi Emo vecchia scuola, ma più diluito, meno Hardcore... d'altronde questi incasellamenti nei generi esistono solo per chi alla pratica preferisce la critica. Come un connubio tra Indian Summer e Portraits of Past. In sostanza, quello che in questi giorni di sole ancora poco vivo suona bene. Roba da tramonto primaverile. Roba per romanticoni, insomma.
Oggi - come al solito -, lo ascoltavo e mentre mi sembrava più bello del solito ho trovato, alla fine di un bel libro, questa bella frase.
«L'uomo d'intelletto lucido è colui che si affranca da queste idee fantastiche e guarda in faccia la vita, prendendo coscienza che tutto è in lei problematico, sentendosi smarrito. E poiché questa è la pura verità - ossia che vivere significa sentirsi smarrito - chi l'accetta ha già incominciato a ritrovarsi, ha già cominciato a scoprire la sua autentica realtà, è già su un piano stabile. Istintivamente, allo stesso modo del naufrago, cercherà qualcosa a cui aggrapparsi, e questo tragico sguardo perentorio, assolutamente sincero perché è un tentativo di salvarsi, gli permetterà di dare un ordine al caos della sua vita. Queste sono le uniche idee veritiere: le idee dei naufraghi. Il resto è retorica, posa, infima farsa. Chi non si sente veramente smarrito, si perde inesorabilmente; e non potrà mai più ritrovarsi, non potrà mai più incontrasi con la propria realtà.»
Sembra ci stia bene, col disco.
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