L’altro giorno metto le mani a caso nella colonna dei cd e dalla pila viene fuori questo disco del 1987 a firma Dalton. Ricordo che la cifra investita per averlo non fu propriamente modica ma la soddisfazione immediata, già dopo il primo ascolto, mi ripagò abbondantemente della spesa effettuata. A sostegno di un piacevolissimo ricordo di adolescenziale vacanza estiva trascorsa nei primi giorni con una combriccola italo-svedese. I vichinghi della loro terra mi lasciarono ricordi musicali grandiosi.
Ho cercato altri pareri su web e con piacere trovo riscontri molto positivi da parte di appassionati italiani e non. Per stringere, vi dico subito che questo esordio “The Race Is On” è un disco fortemente consigliato a tutti gli amanti dell’hard rock melodico fm oriented. Già avevo parlato di una band scandinava, i female fronted Perfect Crime, appioppando un quattro per eccesso. Questo è un quattro pienissimo con qualcosa in più. Se siete interessati al genere non lasciateveli sfuggire.
La band. Tipica cinquina da rock orientato agli adulti, i Dalton nascono dall’idea dei due fratelli Landmark (voce e basso), che si propongono come gruppo nel segno della continuità nel panorama del nord Europa. Una scena che, anche in quanto a rock, non ha mai voluto saperne di stare dietro. Insieme a loro Dahlberg alla batteria, Westfahl alla chitarra, Lindstrom alle tastiere: una compagine molto affiatata. L’immagine è proprio messa a fuoco senza alcun segno di grana. I cinque biondoni hanno una cotonatura perfetta, come i Bon Jovi del secondo album, e anche nel vestiario li ricordano molto, tra giacche stravaganti e jeans di cui sono rimaste solo le cuciture.
L’album. Una serie di nove tracce che hanno la sola colpa di essere tutte così perfette da risentire di un pizzico di freddezza, che rispecchia comunque la compostezza scandinava anche in fase compositiva. L’eleganza paga questo prezzo anche quando un album puzza di benzina. Il carburante che fa muovere questa macchina è quello che costa di più perché più raffinato. I Dalton sono un gruppo grintoso e frizzante con una chitarra che gratta, regalando la necessaria ruvidezza al pacchetto di canzoni, ma che sa anche chetarsi nei momenti più tranquilli. Notevole è il supporto delle tastiere che, come da migliore tradizione aor, creano il letto su cui si adagiano le note musicate dagli altri strumenti, ed entrano in scena con prepotenza quando il palco è libero per loro. Le backing vocals sono scientifiche, mai eccessive o fuori luogo, e si legano amabilmente alle pesanti armonie della band guidata dalla voce di Bosse Landmark che si ritaglia uno spazietto laterale, ma comunque sullo stesso piano, rispetto alle migliori del genere. Nel nugolo di formazioni scandinave per i miei gusti è quella che spicca di più.
L’apertura è affidata a un brano che racchiude in sé le caratteristiche esposte fino ad ora: “Caroline”. Anni 80 che di più non si può, parte sul rombo di motori, si esalta su ritornelli altisonanti e si chiude dopo un assolo perfetto di chitarra. Detta così può sembrare banale, ma questo è un album che ha qualcosa in più. Ad esempio le strette di mano con lo stile della atlantic coast, avvenute per davvero nel caso di brani divertenti come “You’re Not My Lover (But You Were Last Night)” composta da Bon Jovi, Sambora e Child (e questo la dice lunga sul valore del gruppo svedese e sull’attenzione che ha riscosso) o di “I Think About You” (composta dal Bolton cotonato), più soffice e da architetto, con un sound ripreso successivamente alla grande nel 1992 da una band chiamata Planet 3 (spero di parlarvene presto). Andando random, perché in questo disco le canzoni le puoi prendere casualmente, tutte hanno bene o male il suono della prima, fanno la loro porca figura tracce come la conclusiva “Gimme, Gimme” che mi piace particolarmente perché avvicina molto il genere proposto alla pista da ballo. Una pecca sta nella ballad “Loving You” che aggiunge miele prescindibile e non di prima qualità a tutta l’opera. Ma quando partono “We’re Into Rock” o “I’m On The Run”, le concessioni all’hard rock diventano davvero muscolose e robuste e risale la voglia di muoversi e sbandare.
Credo che i Dalton siano stati il classico gruppo da arena. Dal vivo sarebbe stato normale seguirli seduti all’ascolto, per apprezzarne le melodie spontanee e curate, oppure in mezzo alla ressa a celebrarne l’energia. Non si sono fermati qui per fortuna, ma hanno proseguito subito dopo con un altro straordinario album dal titolo Injection, che spero di presentarvi a breve. L’aor, nell’anno di uscita di questo disco, era già un genere evoluto che aveva conosciuto una marea infinita di esempi magistrali. Ma provate ad ascoltare i Dalton e ditemi voi se questa è trippa per gatti o no.
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