Vedi il risultato finale alla televisione, una vittoria spettacolare, con tripudio del pubblico e pensi: cazzo quanto vorrei essere al suo posto. Non riesci a vedere cosa c'è dietro e non ti rendi conto che una marcia in più può essere anche peggio di una dannazione, una maledizione, una iettatura che ti può rovinare la vita. La genetica te ne può avere date anche un paio di tonnellate, di talento intendo, per riuscire così ad emergere dalla massa con una facilità irrisoria, quasi ridicola, ma per arrivare ai vertici e restarci per tempo il "genio" non basta. Serve pungolarlo quel talento come se fosse una persona, spronarlo, coltivarlo e farlo crescere quotidianamente per tentare di alzare il livello a forza di calci. In un paio di parole bisogna sputare sangue. E la storia, in ogni settore, è piena di persone incredibilmente talentuose, bambini prodigio considerati predestinati, che si sono schiantate contro un muro quando hanno capito che non erano i soli ad avere quella dannazione e non erano abbastanza forti per reggere l'impatto di una competizione così massacrante. Alcuni si sono sentiti dei falliti perché, pur avendo un'ottima mano iniziale, sono finiti nell'anonimato insieme alla massa.
Una precedenza mancata mentre con una mano tiene il volante e con l'altra urla nel microfono del cellulare chiedendo di aspettare ancora due minuti. Un'ultima violenta sgasata e poi la vettura si ribalta e si contorce: sembra prendere vita come una mano che si serra all'improvviso per sfiorare delicatamente con le sue lamiere, varie contusioni forse una frattura e qualche schizzo di sangue, il giovane conducente. Sgattaiola fuori sotto shock strisciando, ma rientra subito per prendere l'unica cosa che conta in quel preciso momento: con il set di bacchette in mano corre, zoppica sbilenco e storto verso il teatro.
Andrew non è un ragazzo particolarmente simpatico; non ha molti amici e non potrebbe essere altrimenti perché è competitivo all'ennesima potenza, è ambizioso e ha un obiettivo che lo acceca, lo consuma e lo ossessiona. Terrence, insegnante di musica di un prestigioso istituto di jazz, è un figlio di puttana. Intravede in Andrew un talento grezzo enorme e lo prende di mira, lo torchia, lo spreme come se fosse un agrume. La sua vita viene asciugata dal superfluo e non rimane più nulla che ritmi ossessivi da battere con una precisione maniacale, non rimane nemmeno la pelle sulle dita che si scarnificano a forza di picchiare ininterrottamente per ore.
"Whiplash" è stato definito una sorta di "Full Metal Jacket" in versione musicale; è un paragone esagerato e che, tuttavia, se ci riferiamo solo alla struttura del primo tempo dell'opera di Kubrick non è una bestemmia. Con i suoi eccessi il film funziona perché il regista, Damien Chazelle, è stato capace di ben rendere il continuo scontro, anche fisico, tra i due protagonisti che si odiano profondamente e che, tuttavia, non possono fare a meno l'uno e dell'altro. Andrew ha bisogno del suo insegnante perché ha capito che è l'unico che ha la competenza e la tempra per fargli fare il salto definitivo. Terrence è prossimo alla pensione: per tutta la sua esistenza ha cercato invano un nuovo Charlie Parker per il jazz. E' conscio del fatto che non avrà tra le mani un altro Andrew e si abbatte su di lui con tutta la forza che ha per vedere se ha la tempra e la schiena abbastanza forte per reggere l'urto tremendo.
La fotografia è di grande qualità, caratterizzata da inquadrature che sono quai sempre molto strette, per dare allo spettatore la sensazione di essere all'interno dell'orchestra. Ce ne stiamo comodamente seduti e quasi sudiamo per lo sforzo profuso tanto sono perfette le immagini e tanto è curato il sonoro, (non mi riferisco alla musica ma anche ai rumori che rendono le scene iper realistiche), che è stato giustamente premiato con una statuetta. Il film grazie alla qualità del cast, alla trama avvincente e solida, riesce a sopportare scene molto lunghe di puro jazz: un genere che non è proprio commerciale.
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