Recensione scritta a quattro mani, in collaborazione con De...Marga...


[L'opinione di De...Marga...]

3 Novembre 2006: veniva pubblicato “9”3 Novembre 2014: esce “My Favourite Faded Fantasy”
Otto anni, otto interminabili anni ho dovuto attendere per ritrovare sulla mia strada l’amato Damien; un disco che vuole essere un ritorno, un rientro in punta di piedi dopo anni bui, difficili per il cantautore irlandese.Bisogna fare un lungo passo indietro per capire il perché di questo periodo di forzato abbandono dalle scene musicali; è il Marzo del 2007 e Lisa Hannigan lascia il collega, l’amato, l’amico Damien. Un sodalizio musicale che ha donato meravigliosi brani, profondi, semplici, essenziali, nei due album che li ha visti collaborare; un delicato equilibro vocale il loro che sapeva donare nell'ascolto sensazioni emotive di intensità drammatica, ma pregna di pathos da emozionare, devastando positivamente l’animo.Damien sceglie di abbandonare tutto e tutti, in una sorta di esilio per ritrovarsi; sceglie l’Islanda luogo lontanissimo dove la natura selvaggia e la quiete lo aiutano a comporre l’album, aiutato da Rick Rubin, da trent'anni apprezzato produttore.Una frase del cantautore, che ho letto un queste piovose giornate autunnali, mi ha lasciato di ghiaccio, colpito in pieno dalla sua intensità: “A volte devi andare via da ciò che ami, per provare ad amarlo di nuovo. Darei via tutto, carriera, canzoni, fama per poter riavere Lisa”. E’ inutile soffermarsi e provare a dare un senso a queste poche, struggenti parole.Il disco è emblematico fin dalla copertina: un disegno che mostra un alto muro bianco, sulla cui cima ci sono delle persone ed una lunga scala conduce alla sua sommità. Si vede un uomo che ha da poco iniziato a scalare la parete, per riunirsi a quelli che lo hanno già fatto; subito mi balza alla mente il Muro di Berlino ed il suo crollo avvenuto venticinque anni fa, proprio in queste giornate.Otto sono gli anni trascorsi da “9” ed otto sono anche i brani che vanno a comporre il disco; quasi tutti di minutaggio corposo, due oltre gli otto minuti ,come se Damien volesse con la sua Musica rimanere nella canzone il più a lungo possibile, per ritrovarsi, per rinascere.Mi è bastata la visione del singolo “I Don’t Want To Change You” per avere la certezza di aver ritrovato un amico in Musica, un compagno pronto a regalarmi quei brividi, quelle vive emozioni delle quali mi nutro, da sempre e per sempre.Damien appare sul pontile di un lago, ritengo islandese ma non è molto importante; è bagnato ed infreddolito, sta piovendo. Mi sembra invecchiato e mentre canta fa fatica a tenere gli occhi sulla telecamera...”Ovunque tu sia sai che ti adoro, non importa quanto distanti siamo...” Si avvicina al bordo del pontile, cadendo in acqua e ritornando poi indietro: l’acqua l’elemento principale del nostro corpo, da dove siamo nati. Infine il cantautore scompare, proprio nell'elemento liquido e all'orizzonte nel livido e grigio cielo appare una luce, un chiarore che sembra indicare una svolta nella sua vita: Damien è rinato, è tornato.
Terminato il video spengo il computer e per un attimo mi specchio nel nero schermo: anch'io sto invecchiando, il bianco della mia barba sta aumentando ogni giorno di più. Mi tolgo gli occhiali, devo asciugarmi le lacrime che mi stanno bagnando il viso...ma sono strafelice anche e soprattutto per il mio amico Damien.Di solito concludo i miei scritti con l’abituale frase latina “Ad Maiora”. Ma oggi mi sembra appropriato usarne un altra: “Omnia Munda Mundis”.

[L'opinione di Ociredef86]
Damien Rice è tornato. Damien Rice è ancora tra noi. Caduto nella disperazione e nella sofferenza, è risorto dalle sue stesse ceneri ed è tornato ad emozionarci. Eleganti, raffinate e profonde emozioni che si dipanano nelle otto lunghe tracce del suo nuovo disco, l'attesissimo "My Favourite Faded Fantasy".Ed è proprio nella title-track che il cantautore irlandese di Kildare butta fuori tutto quello che ha tenuto per sé negli otto anni di silenzio. Voce in falsetto, chitarra dolcemente pizzicata. Tutto sembra rimasto come nel 2002, come quel gioiellino che fu "O", il suo esordio. Oggi però c'è ancor più profondità nei testi, più consapevolezza di essere un quarantenne. Consapevolezza anche delle proprie enormi capacità di musicista. A mano a mano che si va avanti, il brano cresce, si fa sempre più intenso avvolto da armoniosi archi e il cuore di noi che ascoltiamo si riempie di bellezza, di sconsolata malinconia. Le dita che sfiorano il pianoforte scandiscono il lento ritmo della lunga "It Takes A Lot To Know A Man", ed è in questi quasi dieci minuti che Damien Rice ritorna a stupirci. Se nella prima parte il brano sembra un normale pezzo pop-folk, nei minuti finali tutto si trasforma. Diviene un pezzo strumentale, etereo e affascinante come le desolate lande islandesi in cui Damien si è trasferito per ricominciare la vita daccapo e per concepire questo suo nuovo capolavoro. Etereo e affascinante tanto da ricordare (a tratti) le atmosfere magiche dei Sigur Ròs.
Terra, ghiaccio, cielo color piombo e aria che violenta la nostra faccia. Sono queste le sensazioni che l'album emana, sono questi i paesaggi che lo hanno ispirato. La fredda notte islandese, silenziosa e inquietante, fa da sfondo ad ogni singolo brano. Penetra sottopelle e arriva fino all'osso, lasciandoci totalmente spiazzati.Nel singolo di lancio "I Don't Want To Change You", la produzione di Rick Rubin tocca livelli pazzeschi, senza però esagerare nella presenza. E' sempre Damien il vero protagonista. La sua voce cristallina che fa scorrere brividi di amara dolcezza dalla nuca giù lungo tutta la spina dorsale. La chitarra che ti sfiora le guance come fossero calde e morbide dita di un bambino sorridente. Gli archi che ti accerchiano come fossero le braccia del tuo migliore amico. Applausi su applausi.Si tinteggiano di gospel gli otto delicatissimi minuti di "Trusty And True", in cui il cantautore irlandese esprime tutto il suo malessere nel non avere più Lisa (Hannigan, pure lei cantante) nella sua vita. Una perdita dolorosa, una triste e appassionata lettera a lei che se n'è andata, a lei che non fa più parte della sua quotidianità. L'emozione non smette un momento, e le vibranti corde dell'immancabile chitarra ci toccano nel profondo, commuovendo anche il più inossidabile degli ascoltatori. A chiudere la sussurrata e trasparente voce di Damien che ci lascia stupefatti e senza più lacrime. "Long Long Way" è come un piccolo ciondolo di cristallo a forma di cuore, che dondola lentamente allacciato al nostro collo. Potrebbe rompersi in mille pezzi solo a sfiorarlo con le mani, potrebbe frantumarsi come la voce di Damien. Invece resiste, invece resta integro. Resta appeso al collo proprio come l'immensa emoziona che suscita questa traccia finale rimane per tutta la sua durata. Bravo Damien, ce l'hai fatta. Hai sofferto, hai pianto, hai urlato e distrutto soprammobili ma ora sei ancora qui, con noi. Sei con noi e ci regali emozioni fortissime, sincere, trasparenti come l'acqua glaciale della tua nuova casa, l'Islanda. Bravo Damien.


P.S.:ringrazio di cuore l'amico De...Marga...per aver voluto collaborare con me in questo lungo ma spero gradevole scritto.
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