Damien Rice e il suo “O”
Apro la con la sua straordinaria chiusura “Eskimo” dove viene pienamente azzeccata quella capacità naturale, chiamata lirica: il soprano che si amalgama alla voce di Rice con tale potenza vellutata fino a raggiungere l’irraggiungibile. “O” è di tale rara bellezza interna, uno dei miei pochi album eletti, che si interseca con affinità ai Mojave 3. Anima umana, persona semplice alla ricerca dell’interiorità, voce sublime, malinconica e catapultante, trascinanti archi, chitarre acustiche, violoncello e voce rosea di Lisa Hannigan, ogni brano insegue il successivo senza respiro, senza stacco, come un’ onda infinita che ti culla in un oceano infinito di sirene ammaliatrici.
Un ragazzo Irlandese che già nelle vene gli scorre un certo valore della vita e del dolore, che decide di lasciare il suo freddo e intenso paese per apprendere i sapori del mondo, gira mezza Europa e suona dove capita come un vagabondo ricco di sentimento, e poi si sofferma a Pontassieve vicino a Firenze, e cosa c’è di più della meravigliosa Toscana, piena d’anima e di bellezza incantatrice, di storia e voci del passato espressionistico culturale come un poema Dantesco per dipingere la propria tela musicale? Con tanti sacrifici, ma soprattutto con tanto coraggio riuscì a farsi strada registrando il suo primo capolavoro “O” ed è solo da ammirare per il risultato al primo colpo, è una sorta di colori caldi, sapore nostrano, di profumo di terra, intensità d’amore perduto o mai trovato, ricerca di tranquillità, equilibrio e verità, è la semplicità nel suo essere che lo distingue. Tutti i brani sono di pari eguaglianza e trasporto e quindi traducibili in un’ unica parola… AMORE.
Rice, straordinaria icona di sensibilità innata, mi piace tanto, tocca tutti gli emisferi dell’universo, dolcezza percettibile nell’impercettibile, ovvero il vero senso del valore umano. Anima mia...
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