Tonbruket, l'officina dei suoni.

C'è un cuore in questo disco, e non è soltanto quello in copertina, ma anche quello di Dan Berglund, contrabbassista negli indimenticabili E.S.T. del geniale pianista Esbjorn Svensson (deceduto nel 2008), il trio che si guadagnò dal Times la fama di più influente jazz band della scorsa decade. 

Dan, soprannominato "il rockettaro del trio" volta pagina, senza però Magnus Ostrom, il batterista, ma con dei vecchi e nuovi compagni di viaggio, con background differenti:

Johan Lindstrom - chitarra acustica ed elettrica, lap e pedalsteel, piano su "Waltz For Matilda" - vecchia conoscenza nonchè braccio destro in questo progetto anche per quanto riguarda tutti i suoni trattati e il mixaggio finale

Martin Hederos - piano, pump organ, violino, tastiere, accordion - fondatore della band punk-psich "The Soundtrack Of Our Lives"

Andreas Werliin - batteria e percussioni - impegnato nel trio di "Mats Gustafsson Fire" e nel duo sperimentale "Wildbirds and Peacedrums".

Fonda cioè un "laboratorio di suoni" con le influenze più disparate, ma senza cambiare il suo modo di suonare e senza rinnegare quello che è stato lo straordinario cammino fatto in precedenza. Anzi, integrando la lezione imparata, cambia direzione: non è più il jazz la colonna portante e nemmeno il pianoforte; dal jazz  Berglund si sposta dritto verso le sue radici, e quindi in territori (hard) rock-progressive, art-rock e post-rock. A dirla tutta l'ultimo "Leucocyte" a nome EST (a parere di chi scrive è un capolavoro), ci aveva già fatto capire le intenzioni, che erano quelle dettate da una quasi assoluta libertà di espressione, in cui la sperimentazione aveva un ruolo determinante.

Ogni influenza di genere qui è decontestualizzata , si sentono echi di Black Sabbath, Emerson Lake and Palmer, ma anche Bill Frisell, Radiohead e musica che tocca i quattro punti cardinali del mondo magari in un solo brano, musica non facilissima che un po' stupisce, un po' destabilizza, ma dopo vari ascolti finisce per funzionare in maniera egregia.

Come gìà accadeva con gli EST, assistiamo ad una vagonata di effetti, strumenti che producono suoni "altri", loop che si incrociano e altre diavolerie da intenditori. La deliziosa "Song For E" è indiscutibilmente un omaggio all'amico scomparso, ma qui i capolavori sono "Sailor Waltz" assieme a "Monstrous Colossus" e "Sister Sad".

Sarò di parte (!), ma bisogna essere senza cuore per non apprezzare dischi così! 

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