Il mulatto dell’Oregon Dan Reed e il suo quintetto denominato Network erano proprio forti. Fecero faville con la loro miscela di funky + hard rock per tutti i tre album che la multinazionale che li aveva a contratto consentì loro di pubblicare a cavallo fra anni ottanta e novanta, prima che soccombessero come tanti altri al giro di vite imposto dai discografici un po’ a tutto il rock commerciale, a favore dell’assai depressivo ma innovativo (?) grunge. Il lavoro in questione è il secondo lascito della formazione, pubblicato nel 1989, e probabilmente il più valido.
Il capellone Dan era pure un vero fico, mezzo pellerossa e mezzo hawaiano… Da bravo mulatto americano anni ottanta aveva James Brown ed Ac-Dc, Sly & Family Stone e Led Zeppelin, Earth Wind & Fire e Journey che gli scorrevano in egual misura nelle vene, frutto di un’intera giovinezza trascorsa a bombardarsene le orecchie. Il progetto Network era perciò una proposta funky/rock in equilibrio perfetto fra i due generi, con la propensione per uno di essi decisamente oscillante tra un brano e l’altro. Ciò derivava anche dal fatto che la sua banda consisteva in una variopinta congrega multirazziale, essendo il chitarrista Brion James di origini giamaicane, il bassista Melvin Brannon afroamericano, il tastierista Blake Sakamoto ovviamente di origini nipponiche ed il batterista Dan Pred di famiglia ebrea!
La loro musica teneva sempre la batteria a staccare potenti quarti di hard rock mentre che il basso pulsava alla solita maniera funky, magari doppiato da qualche sintetizzatore; nel mentre il chitarrista era per lo più impegnato a staccare bicordi belli distorti, avvicinando così il loro sound pure all’AOR imperante del tempo; il tastierista d’altro canto provvedeva ad americanizzare lo stile ed iniettare rhythm &blues nella miscela ed infine sopravveniva il canto del leader, bello sexy modello Prince ma meno smorfioso, che andava a scuotere definitivamente orecchie, chiappe ed ormoni degli ascoltatori/ascoltatrici.
Quello che è mancato al Dan Reed Network sono stati un paio di singoli capaci di essere ricordati nel tempo e di entrare nel novero di quelli a simbolo di quell’epoca. In altre parole, l’unico difetto di “Slam” e degli altri due dischi a loro nome, se così tale si può definire, è lo stesso di tantissimi altri lavori ovvero una compatta e ottima qualità di tutti i pezzi dal primo all’ultimo, priva però del momento stratosferico in grado di trascinare anche il resto e insaporire definitivamente il menù.
Ragion per cui non riesco ad isolare canzoni di particolare interesse in questo disco. A me piacciono gli episodi più rock, dove la batteria in stile Led Zeppelin e il chitarrone di James in stile Def Leppard si danno particolarmente da fare, però è una mia inclinazione visto che il funky e il rhythm&blues mi scaldano di meno. Le melodie più indovinate mi sembrano comunque stare dentro il brano che intitola l’album ed anche in “Cruise Together” e in “Lover”, nella chilometrica ballata “Stronger Than Steel“ e nell’anomalo boogie finale “Seven Sisters Road”. Ma voglio ripetere che è proprio il mood in generale che funzionava nella proposta di Dan Reed: un elegante e brillante musica sia da ballo che da arena, condita e speziata da tantissime influenze frullate insieme e servite da una accolita di bravi musicisti, pieni di groove.
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