È un’idea che viene portata avanti da un po’ di tempo, in vari film: raccontare le invasioni aliene dando però spazio soprattutto al modo in cui le persone terrestri le vedono, le riprendono, le recepiscono, e non tanto alle modalità in cui esse avvengono. Mi riferisco a tre film: Cloverfield (2008), Super 8 (2011) e questo nuovo 10 Cloverfield Lane. Il denominatore comune è J. J. Abrams, in veste di produttore oppure regista. Per quanto i primi due fossero dei buonissimi film, questo è forse ancor più interessante, per motivi diversi.

Innanzitutto propone un modo abbastanza nuovo di fare un franchise: come viene spiegato bene su il Post, «Il film era nato per essere tutt’altra cosa con tutt’altro titolo e solo mentre era già in produzione si decise di cambiarne certe cose per farlo diventare un “Cloverfield”» e in effetti la vicenda non ha quasi nulla in comune con il film del 2008, se non il fatto che ci sono (forse) gli alieni. Il titolo è una mossa quindi eminentemente commerciale, ma nondimeno il film porta avanti il discorso del punto di vista già ben esplorato nelle altre due opere citate.

La visione degli alieni, in questo progetto, è interessante più per i limiti, per le sue mancanze, i buchi, la comprensione limitata dei protagonisti. Questa volta il limite è ancora più grande: la protagonista non sa se l’invasione aliena sia reale o meno, perché si trova in un rifugio antiatomico costruito da Howard, cioè un meraviglioso John Goodman. L’impossibilità di verificare la reale esistenza del fatto apocalittico è sicuramente una trovata brillante per costruire una vicenda insolita; Michelle, dopo un brutto incidente in auto, si risveglia nel rifugio e, stando a quanto dicono Howard ed Emmet, non può uscire ad accertarsi del pericolo perché l’aria è infetta.

Senza rivelare troppo, penso che questo spunto decisamente buono non sia stato sfruttato al meglio; si poteva prolungare maggiormente il dubbio sulla questione “alieni sì/alieni no”. Nonostante ciò, la gestione delle due questioni principali è decisamente valida e organica. Com’è chiaro, l’altra questione riguarda la volontà di Howard: è un uomo strano e un po’ maniacale o intende abusare della sua ospite, che a suo dire ha salvato da morte certa? Su questa dicotomia si gioca molta della tensione del film, che pur rivelando ben presto alcuni dettagli quanto meno sospetti, riesce a mantenere una grande incertezza sulle mire di Howard per gran parte del minutaggio.

La costruzione della trama funziona per due motivi principali: la sua semplicità da una parte (che non rende banale la questione, ma solo più incisiva) e la bella raffigurazione dei tre personaggi, nonché la fine levigatura dei rapporti che si sviluppano tra di loro. Da questo punto di vista, la qualità della recitazione di John Goodman è decisiva per far funzionare tutto l’intreccio di alleanze e sospetti, tradimenti e assoluzioni. Gli altri due attori sono comunque tutt’altro che scadenti, reggono bene le loro parti, decisamente più lineari.

Insomma, con soli tre attori e un unico spazio scenico, 10 Cloverfield Lane porta a casa il massimo risultato possibile, o quasi. [Da qui ci sono anticipazioni] Dispiace però che tutte le prerogative volte alla sottrazione vengano sostanzialmente tradite negli ultimi 10 minuti di film, quando si buttano un po’ di milioni di dollari in effetti speciali che francamente non erano richiesti. Un finale del genere smorza decisamente il fascino dell’incertezza, del non essere mai sicuri al 100 percento che gli alieni esistano e che l’aria sia velenosa. Sarebbe stata ben più accattivante una chiusura completamente tragica, un bagno di sangue nel tentativo di Michelle e Emmet di scappare (solo per andare incontro a un destino ancor più doloroso).

Inoltre, se Howard è un ottimo personaggio, Michelle invece non ha una psicologia molto complessa: ad esempio, la scelta di affrontare gli alieni piuttosto che le perversioni di Howard è così piana e scontata? Non c’era un altro modo di risolvere il problema, dato che comunque loro sono in due, mentre Howard è da solo? Insomma, non manca qualche sbavatura e prevale decisamente la voglia di creare tensione, più che sviluppare un’analisi psicologica coerente fino alla fine. Questo, insieme alla gestione un po’ frettolosa del dubbio sull’esistenza degli alieni (dopo pochi minuti Michelle vede una donna infetta dal vetro della porta) penalizza un film che risulta invece soddisfacente da molti altri punti di vista.

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