Capitan America e i Beatles. Casper il fantasmino e le ragazze. E poi Dio...e poi il diavolo...
Tutto molto semplice, se il semplice esistesse. Ma siccome non esiste, c'è anche l'altro lato della faccenda, ovvero il vaso da fiori che ti cade sempre in testa.
La testa però non ha davvero bisogno di nessun vaso per essere un problema. “Sono solo uno psicopatico che cerca di scrivere una canzone”, dici da qualche parte in questo disco. Ok, tutto chiaro...
Allora, se il “dono” capita a gente tipo Paul e John, tutto bene. Ma se capita a uno come Daniel Johnston può darsi pure che la grazia zoppichi un pochino.
Ma alla grazia il procedere insicuro non dispiace affatto. Me l'ha detto lei stessa un po' di tempo fa.
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Se indossi occhiali poetici l'ingenuità è un apostrofo rosa, poi fa niente se in natura il rosa non esiste. Sarebbe bello chiedere a Picasso dove diavolo ha trovato il suo, il blu d'accordo, ma il rosa?
Il fatto è che gli ingenui sono esseri incapaci a vivere e questa cosa mica la dicono gli occhiali, questa cosa la dice il muro dove immancabilmente vanno a sbattere.
Quel muro ha buone ragioni che noi, con ragione, comprendiamo bene. Ma, se incontriamo un ingenuo, siamo dalla sua parte. E' una promessa fatta a noi stessi e come tale non c'è Cristo che tenga. E' così e basta.
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Daniel Johnston, se arriva, arriva subito. Il nocciolo della questione sbattuto in faccia senza nessun filtro. Se hai qualcosa da dire dillo e basta.
E se la voce viene dall'abisso falle indossare gli stivali delle sette leghe. Dalla merda al cielo c'è parecchia strada da fare.
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Canzoni allo stato di natura che sgorgano come d'incanto grazie a una forza benevola che scavalca in un attimo i nodi dell'espressione.
Poi quella luce pazzesca, un po' di follia, certo, ma anche la lampadina accesa quando a Paperino gli frulla in testa un'idea.
E fa niente se i suoni sono così traballanti e la voce così insicura, tanto c'è quella vibrazione angelico/stonata tutta “trafitture di tenerezza” e smandrapperia.
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Che ci si trovi davanti ai primi lavori casalinghi o a quelli successivi molto più prodotti non importa. Le canzoni saranno comunque sempre nude, scheletri sorridenti dentro una istintiva radiografia dell'anima.
Con una grazia speciale, quella dell'errore, che qui si sbaglia tanto, ma mai da professionisti.
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Ah, Danny...
Se la musica è il tempo, tu il tempo l'hai preso e sfasciato in mille pezzi e le rotelline e gli ingranaggi sparsi sul pavimento erano le canzoni di ieri.
In mezzo a quei frammenti l'intermittenza di qualche esile melodia senza senso, tanto più bella quanto più inaspettata. L'eterno è un vecchio burlone che appare sempre dove meno te l'aspetti.
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Se la musica è il tempo, il tempo quelle rotelline e quegli ingranaggi li ha poi rimessi a posto rammendando qua e la.
Poi si, forse i producer hanno annacquato un pochino, ma questo non è detto che sia un male.
Con “Is and alwais was”, per dire, vien fuori una mistura tra il bicchiere d'acqua fresca e il cocktail azzurrino. Una roba perfetta per la vibrazione angelico/stonata.
E quel tasso di stravaganza al minimo fa si che si sprigioni il gas leggero di un paradigma pop pressochè perfetto. Tanto che mi par di vederlo il nostro Daniel...
Eccolo davanti allo specchio con indosso il vestito buono, quello che di solito ci ingrugna nelle foto. Ma lui sembra a suo agio, se non addirittura felice.
Il fatto è che quel vestito arriva dritto dritto dalla sartoria Abbey Road ed è tutta la vita che aspetta di indossarlo, Non resta che abbinare qualche accessorio proveniente dalla bat caverna di Syd e soffiare un po' di polvere di stelle...
E poi, ovvio, tutto lo scibile johnstoniano: lo sprofondo malinconico e la gioia fatta di niente, la medicina amara e lo zucchero per mandarla giù. Con qualche momento di classicità che forse nemmeno Bacharach.
E quindi gocce di pioggia su di me...
Si, gocce di pioggia su di me...
Trallallà...
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