La voce di un angelo minore. Un putto tra i cherubini, ma sbrindellato.

Il pianoforte giocattolo, Texas Instruments, blu, strimpellato.

La melodia che scioglie i nodi in gola e si libra sui passaggi più sconvolgenti e fragili che si possano narrare, sillabando una vita, da un castello di carta.

Fatale una spinta.


Come si fa a offrire al mondo tutta la propria disarmata fragilità?


Forse per gli altri come te?


Chi fu tradotto dai suoi frammenti, li recò infondo a sé. Sentendosi rinfrancato, compreso.

Moore, Fair, Kaplan. E Linkous, che non riuscì ad attraversare incolume i propri fantasmi.


Che la musica fosse anche questa era impreventivabile. Espressione pacata di un tempo irragionevole, dedicato alla cura di piccolissime cose. Piccoli spunti melodici per far arrossire.

Piccoli pensieri in bocca alla bonaccia. Incapaci di spingere un vetro. Sogni d'amore interrotti, scioccamente profumati d'ortica.

«Stringimi... /Come ho sempre saputo che qualcuno dovrebbe, sì /... /Anche se la gente dice che siamo una coppia improbabile /Oh, Oh, Questa è vita /... /Vivere vivere vivere vivere vivere vivere vivere la vita /Oh, spera per i senza speranza».



Johnston, così sottile. Così limpido.

Da "Story of an Artist" a "True Love Will Find You in the End". Trema, più che respirare.


Il mondo s'inglobò la fortuna del suo più incerto cantore, coi suoi occhi verdi.

Passato troppo presto.

Quando qui camminava e saltellava.

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