In Italia fremono fermenti sconosciuti. Lasciando alle sue degne segrete il sottobosco elettrico, allontanandoci da qualsiasi tipo di sperimentazione musicale e abbandonando, per il momento, gli ottimi cantautori alla Bob Corn, possiamo vedere, con l'ausilio di un vitreo e gigantesco occhiale, che le musiche delle tradizioni vengono ancora portate avanti da giovani e talentuosi musici, nascosti ed ignorati, ma coraggiosi e geniali.

Daniele Bicego era, narrano le cronache, un promettente suonatore di corno: diplomato al conservatorio nel 1995, membro dell'Orchestra Sinfonica della RAI, del Teatro alla Scala e così via, in un crescendo parossistico di grandi nomi. Ma, in seguito, la mano sventurata di un amico infingardo gli porse un disco della Bothy Band, l'abnorme supergruppo irlandese, il leviatano destinato a sovvertire la sua concezione della musica. A me piace credere che la metamorfosi sia stata completa e terrificante. Un giorno la gentil madre osserva lieta il pargolo che divide il proprio tempo tra gli studi e la nobile musica della classicità. Passa la notte e giunge l'inferno. La nutrice è costretta ad ammettere che Paddy Keenan si è impossessato del figlio, con tutti gli abomini del caso: bevute abnormi, concerti nei posti più sperduti, contrasti con la legge analcolica che vige sulle nostre strade. Ma, soprattutto, la genitrice deve imparare a convivere con il suono delle Uilleann Pipes, dei Whistles e del flauto traverso irlandese.

Le Uilleann Pipes sono, nelle mani sbagliate, una vera arma di morte e devastazione. Ho udito i racconti di numerosi villici le cui case sono state rase al suolo, i cui armenti hanno subito l'evirazione o una mascolinizzazione improvvisa, le cui mogli hanno generato creature a sei teste e ventisei zampe, al suono di tale strumento. Ho visto orde di blogger fuoriuscire come lombrichi dalle loro putride tane informatiche, radunarsi attorno a fuochi improvvisati e lamentare dolore ai padiglioni auricolari. Ho visto...

Daniele Bicego padroneggia perfettamente lo strumento simbolo della tradizione irlandese, probabilmente uno dei più complessi esistenti: l'aria necessaria alla produzione del suono viene emessa da una sacca riempita con l'ausilio di un mantice. Le note vengono modulate grazie ad un chanter legnoso, a cui si aggiungono diversi bordoni, deputati all'accompagnamento e alcuni regulators, necessari per completare la melodia con una serie di accordi.

Le nove tracce di "The Year Of The Snake" non lasciano alcuna concessione alla sperimentazione: il primo set, "Stura - the Girl of the House - Miss Monaghan - the Ravelled Hank of Yarn", è uno di quelli che ai concerti ti fa bestemmiare come un folle per smaltire l'eccitazione brutale e la balla di pisciazza e cibo scadente (Birra Germania, sardine e pane, come insegna l'Aga Khan nel suo manuale "Mangia con meno di un petroldollaro"). Dopo la corsa strumentale per Uilleann Pipes, chitarra e cittern di "O'Rourke's - the Glass of Beer - Farewell to Erin" compare il flauto irlandese, accompagnato discretamente dall'organetto di Filippo Gambetta e dall'arpa di Vincenzo Zitello, che introduce "Limerick Lamentation", degno preludio alla canzone "Hard Times" di Stephen C. Foster, scritta nel 1854. Qui compare tutta l'istintiva arte di arrangiatore di Bicego: "Hard Times" poteva scadere in una versione melliflua e melodrammatica alla De Dannan, ma viene invece interpretata con voce sobria ed austera ed ornata da un flauto discreto che non ne nasconde il fascino sotto inutili sovrastrutture. "The Year Of The Snake" scorre come un fiume bollente o come uno dei rigagnoli fetidi che si formano come cascate quando spandi l'aperitivo russo (Vodka, succo di fragola e zenzero - ma di quest'ultimo non sono sicuro) sulla botte che funge da tavolo al Merlo. Al sereno set "Con Cassidy's Highland - Dark Haired Lass - Casey's Pig" per Whistle, cittern e chitarra segue una versione di "Mr. Bojangles" intessuta da un leggero Hammond e dall'inventivo flauto di Daniele (la versione cantata da Homer Simpson nella veste di barbone rimane però insuperata e, forse, insuperabile).

Uno dei migliori dischi di musica irlandese mai usciti in Italia. Quasi grezzo nella registrazione (ed è un pregio), sincero, appassionato e suonato da un manipolo di virtuosi: Daniele Bicego (Uilleann Pipes, Whistles. Daniele, a proposito, è anche liutaio, specializzato nella costruzione di Uilleann Pipes ed altre cornamuse, nonché membro di numerosi gruppi di musica popolare italiana ed irlandese), Ivan Berto (Bodhràn), Claudio de Angeli (Chitarra, Voce), Stefano Denti - stupenda la sua versione, su questo disco, di "Out On the Ocean"- (Cittern, voce), Luigi Fazzo (Chitarra), Filippo Gambetta (organetto), Paolo Malusardi (organo hammond), Tommaso Tornielli (flauto), Vincenzo Zitello (Arpa).

"The Year of the Snake" nasconde un serpentesco universo infuocato, rivoltoso e gioioso e, dal canto mio, un vaffanculo a questo nero mondo di merda.

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