“Ad esempio si sa, io ho avuto un’educazione cattolica molto rigorosa: vent’anni di parrocchia e boyscout. In tutto quel periodo nessun prete mi ha mai molestato… Mi sento insultato!”

Decameron, “Le Domande”, seconda puntata

Questo è Daniele Fabbri (e soltanto in arte Luttazzi)
Daniele, non è (e non è mai stato) per niente “coglione” o superficiale, contrariamente a quanto il 90% dei media italioti lo dipinge e l’ha dipinto sin dagli esordi. Anzi, a partire dai primi anni della sua adolescenza ha saputo dimostrare il suo estro artistico (ad esempio producendo cortometraggi a fumetti che ottennero un discreto seguito), il quale lo ha sospinto sino a comporre un album, edito nel 2005 (Money For Dope, il cui brano omonimo è la sigla di chiusura dello stesso “Decameron”), diventando così ciò che ora è per quella parte di italiani che ne ha capito lo stile, i contenuti, e soprattutto, i contesti: un Satiro purosangue.

Daniele nasce a Santarcangelo di Romagna il 26 gennaio 1961, si diploma a Cesena in fretta e furia e, come un fiume in piena, si iscrive alla facoltà di medicina di Modena, scrivendo una tesi sperimentale sulla eziopatogenesi autoimmunitaria della gastrite atrofica, consegnandola senza discuterla e rifiutando quindi la laurea per protesta contro le baronie universitarie: mica cazzi.

Da quel momento in poi la decisione. Il mondo dello spettacolo.
E da qui comincia la leggenda: da Radiodue a Renzo Arbore, da comico marginale in “Mai Dire Gol” a psico-mattatore in “Barracuda” (censurato già a fine anni ’90 per una frase scomoda detta da C. Martelli su Berlusconi); poi in Rai, “Satyricon”, Marco Travaglio e stop.
Ucase Bulgaro.
Sei anni di buio professionale, processi “in cui” (e non da cui) difendersi, diffamazioni subite, isolamento totale da parte del mondo dello spettacolo e dei “presunti amici”, querele, denunce, avvocati. Un inferno.
Ma il vecchio Daniele Fabbri, in arte Luttazzi, non demorde neanche per scherzo, prende penna e foglio e continua a fare quello che ha sempre fatto al meglio: continua a scrivere testi, libri, sceneggiature per sketch, attendendo il momento propizio che dopo tanto tempo, arriverà con impatto devastante. Quell’impatto si chiama “Decameron: politica, sesso, religione e morte” (2007) e rimane, ancora oggi a mio avviso, il più grande tentativo satirico mai effettuato in una rete televisiva italiana.

Prodotto da La7 (Telecom) e diretto da Franza Di Rosa, il programma constava di 6 puntate (l’ultima delle quali mai andata in onda), e fu uno squarcio nella continuità mafio-mediatica a cui tristemente siamo abituati da quasi un decennio, sconvolgendo il mondo dello spettacolo, della politica e del “buon costume”. Per la prima volta in una televisione italiana, infatti, una persona sola infangava, con stile brechtiano e disinvolto, tutto il mondo dello spettacolo a suon di fioretto e “gag”, devastando l’intera classe politica che tanto lo aveva scongiurato ed allontanato negli anni precedenti, per combatterla con la sola forza della Lingua (non-leccante) e dimostrando lo stato mediatico-dittatoriale del nostro beneamato belpaese, fino a quel momento dormiente e narcotizzato dai reality show.

Ispiratosi maggiormente a Lenny Bruce e Pier Paolo Pasolini, Fabbri riuscì nell’intento di catturare lo sguardo e l’udito di molte tra quelle persone stufe di nausebondi telegiornali “mimuniani”, propagande sessual-elettorali e salotti “buoni”; situazione dimostrata con i fatti, da uno share molto alto per un programma proposto in seconda serata. Inventandosi spezzoni di sit-com improbabili quali “A Babbo Morto”, in cui Daniele imbalsamerà il padre morto sul divano, o come “Dialoghi Platonici”, improvvisando un complotto impensabile riguardo al processo a Socrate con tanto di Fedone, Gorgia e Platone intenti a ricorrere alle leggi “ad personam” del cavaliere per salvare il loro sommo maestro, Daniele dominerà con una sana quanto sregolata ironia cinque fra i più indimenticabili sabati sera della televisione italiana (sebbene in seconda fascia). E questo signori, non è da tutti. Alla faccia di chi continua a ripetere che il suddetto “non avrebbe mai fatto ridere”.

— “Tesoro, che facciamo stasera?”
— “Non saprei… non ho voglia di ridere… andiamo da Luttazzi!”.

In definitiva Decameron non fu niente altro che la dimostrazione, aberrante ed ingegnosa, di quello che in dieci anni di anarchia massonica la televisione è riuscita a diventare: un monstrum vomitevole di pubblicità mista a porno-subrette, notizie pre-impostate, opionisti articiali, malformazioni Vespiane, delitti facilmente irrisolvibili e, soprattutto, distruzione goliardica della defunta Informazione.
Il fatto che la sesta ed ultima puntata non ebbe modo di andare mai in onda (guarda caso totalmente incentrata sulla questione tutta italiana del Vaticano) è a mio parere il reale motivo per cui Fabbri venne nuovamente cancellato dalla faccia del piccolo schermo (altro che Giuliano Ferrara…).

Per concludere, un sentito ringraziamento a Daniele Luttazzi e a tutto ciò che ha fatto per me e per molti altri in tutti questi anni, dando dimostrazione di non doverci mai arrendere, nemmeno di fronte al Potere cieco, di cui ridere e da dover necessariamente deridere, alla ricerca del più prezioso dei diamanti: la Verità.
Grazie infinite.

“Io faccio i miei monologhi in teatro, perché dalla televisione nessuno si fa vivo, nonostante abbia detto varie volte che avrei idee e progetti per programmi tv. C’è una specie di “conventio ad excludendum” per cui non vengo neanche più citato nei giornali quando si parla di “editto bulgaro”! La satira o è dissacrante, o non è. Se vogliono qualcosa di edulcorato è ovvio che non vogliono satira. E infatti non a caso la satira esplicita in televisione non c’è più, c’è quella allusiva che non indica nomi e cognomi, o responsabilità. È il caso della vignetta di Vauro: è ovvio che il terremoto non è colpa del governo. Però è colpa del governo aver proposto, neanche una settimana prima, il piano casa che prevedeva tra l’altro lo scioglimento di tutta una serie di vincoli e di normative anche in zone sismiche. Adesso non ne parlano più, ma la vignetta di Vauro alludeva a questo tipo di situazione, additava una responsabilità precisa. È un governo di incapaci, basti guardare come trattano i corrispondenti dei giornali stranieri che parlano - male - di noi. Roba da dittature sudamericane. Nel programma di Santoro le voci hanno un loro spazio di libertà che diventa insopportabile perché c’è terra bruciata intorno. Nella loro coscienza civile gli italiani non avvertono che nel momento in cui si tappa la bocca a un giornalista e a un giornalista satirico come Vauro si tappa la bocca a tutti. Hanno perso la consapevolezza dei propri diritti di cittadini. Ce l’hanno fatta: dopo venti anni gli italiani non sanno più che nascono con dei diritti.”

Daniele Luttazzi - intervista per Mamma!)

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