Breve introduzione sull'Artista: Daniele Silvestri, dopo anni di dura gavetta nel quasi anonimato (con picchi tra cui "L'uomo col megafono" "Le cose che abbiamo in comune", "Cohiba") è ormai tra gli abbastanza grandi della musica italiana. Meriterebbe molto più successo, ma parte delle difficoltà derivano da colpe che difficilmente può dare ad altri.
Pregi: buon talento musicale, ottima preparazione, eccellente paroliere. Suona ad alto livello diversi strumenti e naviga con agio tra i generi più disparati: disco, ballate, rock crudo, melodie latine, pop facile, demenziale, alternativo... nella sua ormai ricca discografia si trova davvero di tutto, e generalmente fatto bene. Ha una voce calda e usa con perizia il suo timbro roco e particolare, senza andare mai troppo su. Ha nell'intelligenza, musicale e non solo, il suo punto di forza. Dal vivo è entusiasmante, il ragazzo con una chitarra in mano fa davvero quello che vuole.
Difetti: tanti generi ma mancanza di qualcosa di veramente suo (fosse facile). Deve ancora trovare una sua identità, combattuto tra il commerciale di "Salirò" che porta soldi e fama, il prodotto di nicchia che quasi tutti ignorano ("Aria"), ed il suo essere troppo politicamente schierato (considero il continuare ad accanirsi contro il solito nemico ormai un po' fuori moda). Masterpieces: "Voglia di gridare", "Strade di Francia", "Banalità".
Venendo al disco in questione, dopo la lunga attesa mi aspettavo un po' di più, mentre al primo ascolto il tutto sembra un contorno non troppo convinto della hit "La paranza", commercialmente valida e che non rinuncia alle note contaminazione estere con un testo ironico e pungente e una melodia che viaggia da sola.
Ascoltandolo un po' invece viene fuori il talento maturo dell'ormai non più giovanissimo menestrello romano che come di consueto spazia con disarmante disinvoltura tra generi e stili diversi. Si parte con "Mi persi", ispirata ma al limite tra il molto coinvolgente ed il "un pò lentina"... certo è che in Italia non sono molti ad avere nelle corde pezzi di questo calibro. "Faccia di velluto" è un piacevole mix di jazz e samba (un po' all'italiana), "Il suo nome" con il basso di Max Gazzè (amico ed es turnista) che viaggia come un treno, è proprio una canzone riuscita. Genere indefinibile ma coinvolgente sia nella strofa mezza rap che nell'intrigante ritornello. E' un esempio dell'Intelligenza musicale di cui sopra.
Discorso complicato per "Sulle rive dell'Arrone"; piace a molti ed è certamente ricercata e particolare. Forse è un po' lenta e un tantinello troppo "romanaccia", ma mai quanto "A me ricordi il mare" che funziona alla grande fino all'ingresso del buon Lezzi che la trasforma in una canzone già sentita, un po' banale e un po' troppo Tiro Mancino. Il solito insulto a LUI arriva con "Che bella faccia", che se non altro è una mazurka ispirata e divertente. "Gino e l'Alfetta" è tutto Silvestri. Potente, veloce, con testo impegnato che però scivola via. Non sarà nulla di mai sentito, ma funziona alla grande, ed è ottima per provare i subwoofer della macchina nuova (un po' come "Manifesto") di qualche tempo fa. Un po' troppo "già sentito" invece "Love is in the air", che dura parecchio. Funziona bene "Prima era prima" che sembra una canzone del "Dado", e da ascoltare anche la Intillimanesca "Ancora importante".
Alla fine direi che l'album è buono, non il migliore di Silvestri ma meno leggero di altri. E' lo specchio di come è lui, a mio giudizio uno dei talenti più interessanti del nostro panorama, che può sbocciare definitivamente ma già ora aiuta a riequilibrare le disgrazie di Meneguzzi & c.
Consiglio spassionato: andate a vedere Daniele dal vivo, ve ne innamorerete. Ciao!
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