Mi è stato chiesto di giudicare un lavoro molto interessante di una band emergente.
In genere non recensisco "su commissione", ma i miei dubbi sono stati fugati dalla bontà del lavoro sottopostomi, impressione che si ricava già dal primo ascolto.
Ringrazio quindi "Daniele_er_Piccoletto" per l'opportunità che mi ha dato.
Questa band si chiama "Daniele Tittarelli Quartet" e il loro lavoro è denominato "Jungle Trane".
Forse è eccessivo definirlo lavoro di band, mi piace di piú inquadrarlo come lavoro da solista suffragato da ottimi strumentisti. E forse è sbagliato anche definirli "emergenti" perché si riconosce già una certa maturità.
Il leader della band dimostra di avere ascoltato per bene l'autore esponenziale dello strumento da lui suonato, il mio amatissimo Coltrane. In realtà sappiamo che il tipo di sax utilizzato dal Trane è il soprano mentre sulle scarne note di copertina che mi sono arrivate trovo l'esclusiva dicitura sax alto per il Tittarelli, ma non escludo che qualche ritocco di post-produzione (tipo doppiature di linee) sia stato eseguito con il soprano.
La voce del sax, piuttosto personale, è sempre molto presente, quasi oppressiva nei confronti degli altri strumenti, ma l'insieme suona abbastanza scorrevole pur se a volte eccessivamente sbilanciato (come missaggio nel volume di riproduzione) nella ricerca melodica a scapito degli strumenti ritmici. La tecnica dell'autore è decisamente buona (anche se in alcuni piccoli momenti si scorgono alcune ghost-note non so quanto volute), forse un poco troppo scolastica. Un minimo di coraggio in fase d'improvvisazione e sperimentazione non guasterebbe.
A mio modestissimo parere manca qualche accorgimento nella fase di registrazione a causa forse di poca esperienza. La band mi da l'idea d'essere maggiormente a suo agio in una situazione prettamente "live", ma è chiaro che il mio giudizio non può che essere parziale, in quanto non conosco a fondo l'attività pregressa dei musicisti in oggetto.
L'atmosfera proposta è spesso "serena", "felice", mai sopita né tetra, tanto meno angosciante.
Sezione ritmica: solida, non di comparsa, forse meriterebbe piú spazio per la naturalezza con la quale si cimenta in un modernissimo be-bop, che viene voglia di definire heavy-bop per il modo molto aggressivo nel quale viene interpretato.
L'incastro basso-batteria è notevole e lo strumentista di punta della band può cimentarsi liberamente in divagazioni impreviste, sfruttando l'abilità del batterista e del bassista. Non manca il divertimento per il pianoforte.
Chi vi scrive, non essendo in possesso di nessuna nota della copertina ufficiale del disco, nutre alcuni dubbi sulla paternità delle canzoni proposte. In particolare si ritiene che "Bye Bye Blackbird" sia un caldo arrangiamento dell'originale composta da Ray Henderson e Mort Dixon (ne esiste una maestosa interpretazione di Keith Jarrett) e che Royal Garden Blues (1920 Words & Music by Clarence & Spencer Williams) sia un'altra spumeggiante interpretazione di vecchio standard.
Onestamente ritengo (col beneficio d'inventario) di non sbagliare riconoscendo al Tittarelli i meriti per la creazione dell'ironica "Like Cafù" (romano e romanista, vero?) nella quale il saliscendi della linea di sax vuole ricordare l'incessante corsa del terzino giallorosso (mi piace molto il pianoforte in questa song), e di "Avec", gustosa e sgusciante traccia che la sovrapposizione tra sax e piano di alcune linee melodiche (in particolare l'intro) rende particolarmente "spaziosa".
Nel complesso non si può che apprezzare questo lavoro. Anzi di piú, si deve omaggiare chi si sforza di cimentarsi con la madre di tutte le musiche (il jazz) in un paese tendenzialmente restio al giusto apprezzamento per questo tipo di musica.
A questo lavoro rimprovero vivamente la mancanza (purtroppo cronica negli italici jazzisti) di ardita sperimentazione, di brio, di quella lucida follia compositiva e tecnica tipica degli artisti più navigati o di quelli giovani ma dannatamente dotati di talento in modo quasi soprannaturale.
Per le considerazioni riportate, il mio giudizio non è elevatissimo anche perché per chi è cresciuto con Parker, Coltrane, Davis e Baker è dura trovare accostamenti degni di nota ma questo disco piacerà sicuramente agli amanti del jazz tradizionale interpretato in chiave moderna.
Dovendolo definire con una sola parola lo stabilirei "un disco sereno".
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