Vibrazione, altra vibrazione, un messaggino sul cellulare: "Stasera concerto di Dejligt al Bukowski, ore 21:30, mi fa piacere se ci sei, Teo".
Buon vecchio Matteo, che avrai organizzato stasera? Quando nell'unico spazio accessibile per menti logorate dalla monotonia, il Bukowski, in questa squallida cittadina del profondo veneto, c'è una serata interessante, è sempre meglio approfittarne. Mi dirigo così verso il bar (che gelo questa sera), senza sapere cosa mi attende.

Bene, il concertino è finito, passiamo all'album acquistato. Dejligt, che in danese significa "divertente", è il nuovo progetto (solista?) di Matteo Dainese, batterista degli Ulan Bator dal 1999, in cui spunta anche la collaborazione di Enrico Molteni, già al basso dei Tre Allegri Ragazzi Morti. L'album, autoprodotto, è un tentativo di Matteo di rivisitare in chiave acustica molto del materiale che, negli anni, è riuscito ad accumulare nelle sue svariate e molteplici collaborazioni.

Dejligt è intenso e oscuro, commovente e stridulo. Attraverso cinque canzoni rigorosamente suonate in acustico, con accenni a campionamenti, più o meno psichici, sicuramente soffici, Matteo ci porta nella sua visione intima della musica. La voce, opaca, talvolta sussurrata, riesce a completare ogni canzone, senza appesantirla, ma facendola vibrare lenta.

Minimalismo acustico, tiepidi spazi cosmici, luci soffuse velate dalle note che escono dallo stereo. Lievi sprazzi di malinconia mi assalgono alle spalle mentre le tracce scorrono davanti ai miei occhi, e si infiltrano tra i miei pensieri. Mi accendo una sigaretta, spengo la luce, dolce aroma di tabacco... L'album finisce, c'è ancora tempo per un altro ascolto, e un altro ancora. Tutto ricomincia da capo, accendo un'altra sigaretta... Ben fatto Matteo...

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