Il resoconto di una scampagnata per l’Italia. Questo è quel che sembra il bel documentario "Picture in a Frame", in cui vengono raccolti in circa due ore frammenti dai 5 concerti tenuti dai Pearl Jam nel 2006 nel nostro paese, un gruppo che oggi è visto dai detrattori come una band alla canna del gas, dinosauri quasi patetici nel voler essere ancora rock a 40 anni.
Ci avevano abituati a produzioni da mammuth i Pearl Jam (l’infinita serie di bootleg, cofanetti da sette cd alla volta, ecc), stavolta si va un po’ leggeri e ci piace anche così. Mancano pezzi fondamentali della loro carriera, tra i brani del dvd spiccano le assenze di Black, di Daughter, Once, Spin the Black Circle…
Si preferisce omaggiare l’ultimo, criticato, disco in studio. Che comunque ha un bel tiro, perché Life Wasted, Come Back, Severed Hand potrebbero essere brani di spicco di qualsiasi altro gruppo e gli stessi pezzi, eseguiti live, riescono nel difficile compito di non sfigurare eccessivamente di fronte ai picchi (a parere dello scrivente "VS" e "Vitalogy", soprattutto) della produzione pearljammica.
Ma c’è una strana alchimia che lega queste immagini incorniciate. Non so che cosa sia, ma chi ha atteso, saltato, urlato e gioito sul riff iniziale di Yellow Ledbetter lo sa di sicuro meglio di me. É la stessa alchimia che fa si che a pochi altri raduni musicamentosi si senta il vecchio amico conosciuto all’università che ti chiede “cazzo a Milano han fatto Black, a Bologna no…vabbè speriamo la facciano a Pistoia… Ho preso un altro giorno di ferie!”.
Trattandosi di una recensione oculistica forse l’unica cosa che si può dire di questo documentario è che tutto è calibrato a dovere. La regia non risulta mai invasiva e ha il merito di non farci mai distogliere l’occhio e l’orecchio da quello che è il soggetto. L’occhio fotografico di Danny Clinch esce allo scoperto solo se ci soffermiamo per un attimo sui colori, cangianti e disadorni al contempo. La camera nei momenti di relax tra un concerto e l'altro, nelle pause dei backstage, si sposta come se stesse filmando un reality involontario, come se fosse Clinch il primo fan e fosse lì un po’ per caso.
Bei frammenti, belle fotografie di un tour che sembra, appunto, una scampagnata; memorabile quella di un anziano bolognese che davanti a San Petronio parla della mancanza di cellule cerebrali che affligge il genere umano a Mike McCready (il massimo sarebbe stato però un incontro tra Peppe Maniglia lo stesso Mike, trattandosi di chitarristi…)!!!
Ancora più divertente quella di un altro anziano, direttore di una scuola di musica pistoiese, che nel duomo chiede a Eddie: “Ma perché Pistoia, è una città così piccola. Perché Pistoia?”. E il leader composto e realista, “Noi andiamo dove ci dicono di andare…”
Noi che invece non abbiamo case discografiche, manager programmatori e abbiamo l’arbitrio possiamo scegliere dove andare. E se gli Eels non arrivano presto dalle parti nostre, mi toccherà tornare a vedere questi dinosauri, questi scoreggioni dei Pearl Jam.
Detto fra noi, non vedo l’ora!
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