Basterebbe solo leggere la prima frase del booklet, oppure dar  un'occhiata alla foto nella pagina accanto per comprendere di fronte a quale bestia immonda ci troviamo. Il verso in questione è di San Giovanni e recita "Voi siete progenie del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro".

Glenn Danzig (indimenticabile voce dei Misfits) ,conclusa l'avventura con i Samhain nel 1986, creò un super-ensemble che avrebbe preso il suo stesso nome. Gli altri membri erano John Christ alla chitarra, Eerie Von (Rosemary's babies) al basso e l'ex DOA, Black Flag e Fear Chuck Biscuits alla batteria.  Il corvino del New Jersey alza il tiro, aumentando ancor di più l'aura malefica intorno alla sua figura fondendo vari stereotipi della storia del rock. 

L'album  in  questione è il loro secondo lavoro, e segue di due anni il disco d'esordio "DANZIG" del 1988. Chi scrive ritiene che i due dischi si equivalgano a tutti gli effetti, anche se "LUCIFUGE"  annovera ballate come Devil's plaything e Blood and tears, nonchè il blues vecchia maniera di I'm the one che lo rendono ancor più prezioso.

Si comincia  in modo fulminante con Long way back from hell. Da subito l'aria è accesa da un riff hard al fulmicotone che in men che non si dica è accelerato da una furia punk. Sembra l'inizio di una track dei Judas Priest, ma basterebbe solo la memorabile entrata di Glenn Danzig a mettere i brividi ad Halford & Co. Un hard-rockabilly trascinante che apre degnamente un album capolavoro. Segue Snake of Christ, e il ritmo si abbassa mentre la ugola si fa più oscura. Molto più pesante e ossessiva rispetto alla precedente, fa uscire allo scoperto l'anima metal del gruppo. Killer wolf è la  prima avvisaglia blues. Si inizia a respirare il Delta e la vocazione di Glenn a vestire i panni mojo (come farà  anche nella classica I'm the the one, addetrandosi in paludi fangose alla Muddy Waters mentre riecheggia il Boom Boom di Hooker). Chi più ne ha più ne metta, qui si sprecano i rimandi all'hard blues granitico del decennio antecedente (ZZ Top,  MC5, Mountain e via dicendo).

In Tired to being alive, Girl e Her black wings Christ ci riporta alla memoria i poderosi riff di chitarra dei vecchi Page e Yommi, mentre un'ombra sciamanica si ammanta su Devil's plaything e Blood and tears, omaggi più che evidenti ai Doors. Glenn si cimenta nella voce baritonale che ricorda il Morrison di Blue sunday, Summer's almost gone e Riders on the storm, per poi esplodere come solo lui sa fare, marcando una netta differenza vocale rispetto al Re Lucertola. Due brani indimenticabili, catartici e commoventi.

777 è uno slide blues capace di  trascinare un convoglio merci per tutto il deserto del Nevada. Con una chitarra da fibrillazioni sembra di assistere ad un assalto al treno tipico del cinema western o di risentire le leggendarie musiche dei film di John Carpenter di Grosso guaio a Chinatown ed Essi vivono. Il disco si chiude con Pain in the world, e siamo di nuovo ai Sabbath, stavolta però ad essere rispolverata è la facciata più atmosferica e psichedelica (come Black Sabbath, Planet Caravan o Hand of Doom), che inculca a chi ascolta un tremendo senso di angoscia.

Un album forte e che lascia il segno. Ne  sconsiglio l'ascolto prima di andare di andare  a dormire, dato il suo orrore sussurrato nelle orecchie. La perfetta reinterpretazione di una decade da parte di gente che nel 1990 puzzava ancora di punk rock, hardcore e trash e si divertiva a rammentare le nenie infantili di una generazione vuota.

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