Da molti annoverato fra i capolavori della cinematografia gialla - thriller, difficilmente Profondo Rosso ('75) può essere recensito senza cadere in banalità. Esistono, del resto, decine di pubblicazioni e siti specialistici in cui il film è stato sviscerato sotto i più diversi profili, mettendo in evidenza la sapienza registica di Argento, l'inquietudine che promana da ciascuna inquadratura, il sottile sadismo che contraddistingue i vari delitti, l'efficacia della recitazione di alcuni fra i migliori attori teatrali italiani impiegati nel lungometraggio (Lavia, Mauri), l'erudito recupero della diva dei telefoni bianchi (Calamai), e dell'antidivo dell'affine Blow Up di Michelangelo Antonioni (Hemmings), la calibrata e conturbante recitazione dell'ottima Daria Nicolodi. Non parliamo poi dell'eccellente colonna sonora ad opera di Gaslini e dei Goblin.

Quasi tutti conoscono nei minimi dettagli la trama del film, che qui riassumo brevemente ad uso dei neofiti: un giovane musicista, testimone involontario di un delitto, si intestardisce nell'indagare alla ricerca del colpevole, mentre la polizia risulta inerte e lo stesso assassino, eliminando via via chiunque ne intuisca l'identità, si avvicina pericolosamente a lui. Per scoprire il colpevole, occorrerà riflettere molto bene su quanto visto - o creduto di vedere - la sera del primo delitto.

Di seguito alcune sintetiche considerazioni critiche sul lavoro di Argento, da leggere solo se si è visto il film, a causa di alcuni spoiler. Visto per la prima volta quando avevo quindici anni, ma conoscevo a memoria la trama in forza dei racconti di alcuni parenti, "Profondo Rosso" mi impressionò soprattutto per le scene dei delitti, o, meglio, per la lenta agonia a cui l'assassino (ed il regista stesso? ) sottoponevano le varie vittime. I luoghi in cui avvenivano i delitti - per lo più interni bui di case borghesi - avevano un che di riconoscibile e quotidiano che induceva quasi automaticamente lo spettatore ad identificarsi nei vari morituri, enfatizzando l'inquietudine del film. Nessuno dei personaggi risultava, inoltre, rassicurante, posto che ognuno di essi, finanche il protagonista, risultava pericolosamente borderline per ambiguità morale, atteggiamento, equilibrio psichico. Sotto questo profilo, l'autore gioca continuamente con il binomio essere/apparire, sia nei luoghi che nelle persone: la bella casa cela lugubri ricordi, la donna apparentemente fragile cela una forza repentina, il raffinato pianista cela le sue nevrosi, l'assassino cela la sua identità. Il mondo appare quasi come uno specchio, ma l'immagine che restituisce è talmente frantumata e confusa da non permettere di decrittare la realtà.

Alcuni, enfatizzando il dato psicanalitico e freudiano del film, hanno evidenziato come la trama ruoti attorno alla figura della madre castratrice ed iperprotettiva, criticando in filigrana la stessa concezione della famiglia come hortus conclusus e sicuro: in ciò, il film sottende un messaggio libertario e perfettamente in linea con certa cultura post - sessantottina, e mette a nudo certo "mammismo" tipicamente italico, rovesciandone i contenuti (questo spiega forse il grande ed inconscio fascino del film, ed il suo successo soprattutto nel nostro Paese, più ancora che all'estero).

Detto ciò, il film non è esente da pecche, a causa di alcune incongruenze narrative che rendono debole, ad un esame approfondito, la stessa detective story: non credo, tuttavia, che con "Profondo Rosso" Argento volesse confezionare il classico giallo à la Ellery Queen, il cui modello tanto ha condizionato il suo cinema nel corso di una quarantennale carriera, essendo stato più attento alle suggestioni che la sua cinepresa e fotografia erano capaci di creare: in ciò, "Profondo Rosso" rappresenta lo zenit creativo del regista, evidenziando in nuce i limiti del suo futuro lavoro.

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