Vantare nella propria carriera un tormentone dev'essere una delle peggiori maledizioni per un cantante o un gruppo: alla fine il brano e chi l'ha portato al successo diventano una cosa sola (un po' come Domenico Modugno, all'estero conosciuto dai più come "Mr Volare"), facendo dimenticare qualsiasi altra opera dell'autore, sia precedente che successiva. Male che vada si finisce come in un episodio di "Ai Confini della Realtà", condannati a ripetere la stessa canzone in infinite ospitate nei più pacchiani show televisivi. Quando Dario Baldan Bembo incise "Amico è" probabilmente non pensava a questo rischio. La canzone martellò imperterrita per tutto il 1982 (in colonia, quell'estate, mi capitava di essere svegliato tutte le sacrosante mattine con "Oooooohhh, Oh oh oh  oooooh...") fino a generare diverse forme di rigetto. La carriera del buon Dario praticamente si spense lì, con il progressivo insuccesso dei successivi singoli, anche se come autore continuò a fare cose eccellenti (ve la ricordate "Spiagge" di Renato Zero?). Per anni ho avuto una sorta di allergia alla sua voce, poi ho scoperto chi fosse Baldan Bembo prima della famigerata canzone, a partire dalla cosmica "Aria", e non ho potuto fare a meno di stupirmi.

Stupirmi perché Dario Baldan Bembo fu una sorta di mosca bianca fra l'invasione dei cantautori da chitarra acustica degli anni 70; un personaggio emerso prima di tutto come ambitissimo tastierista (formidabile all'hammond), presente nei lavori dei maggiori personaggi dell'epoca (da Mina a Battisti passando per l'Equipe 84, di cui ha fatto parte per un breve periodo), poi come autore di canzoni intramontabili, fra cui vale la pena di ricordare un quartetto di brani portati al sucesso da Mia Martini, "Piccolo Uomo", "Sola", "Inno" e "Minuetto". Forte di questa gavetta e di questa esperienza, la musica di Baldan Bembo colpisce proprio per l'approccio particolarmente attento all'aspetto puramente musicale, un approccio totale in cui l'arrangiamento e le tecniche di incisione assumono un ruolo altrettanto importante rispetto alla fase compositiva (si narra che per ottenere certi effetti "atmosferici" nei suoi brani il nostro non esitasse a trasferire l'intero studio di registrazione all'aria aperta)."Migrazione", album del 1977, è forse la migliore testimonianza della poliedricità e delle capacità di questo artista, oggi un po' dimenticato.

L'album (un po' un concept dedicato al viaggio, al ritorno e con una punta di coscienza sociale sul tema dell'immigrazione in "Città dei Pensieri") racchiude in sé molteplici aspetti del cantantautore/tastierista, magari anche con il rischio di risultare un po' eterogeneo, ma sicuramente riservando anche belle sorprese. Innanzitutto la mai nascosta simpatia per un certo progressive/jazz rock, sicuramente a lui congeniale viste le sue doti di strumentista, che emerge prepotente in apertura con "Migrazione", traccia che dà il titolo all'album. Il brano procede dinamicissimo fra veloci accordi di hammond, che ne costruiscono la struttura ritmica, e una piacevole linea melodica su testo sognante, divinamente accompagnato dalla batteria di Tullio De Piscopo in atmosfere che possono ricordare una versione accelerata degli Yes di "Yours Is No Disgrace". Della stessa partita è lo strumentale "Arrivo", con un uso simile dell'hammond e begli assoli di chitarra in un contesto questa volta schiettamente jazz rock mediterraneo.

C'è poi il Baldan Bembo più pop, capace di composizioni dal buon gusto internazionale come "Viaggio", dalle belle tinte west-coast, non lontana da certe cose di Christopher Cross), o più orientate ad un altra sua grande passione, il soul-gospel, come nella bellissima "Lontana eri". C'è spazio poi per un brano all'apparenza semplice e con tratti quasi infantili come "La Mia Casa", brano tuttavia denso di romanticismo commovente ma mai stucchevole, con una splendida linea vocale sulle delicate note al pianoforte.

E non può mancare anche il Baldan Bembo più lirico, affezionato alle forme classiche della romanza d'opera italiana, che rende particolarmente efficaci le note di "Non Mi Lasciare" (brano forse più noto nell'interpretazione di Riccardo Fogli), stupenda dichiarazione d'amore che a tratti fa pensare a Puccini o ad un Bocelli meno pomposo. Di ispirazione classica anche il brano che chiude l'album, "Risveglio", costruito in crescendo su un tema melodico ripetuto a diverse tonalità fino a trasformarsi in un vero e proprio corale (qualcosa di simile a ciò che l'autore aveva già sperimentato al suo esordio due anni prima con "Aria" e ancor più con "Crescendo").

E' l'opera matura di un cantantautore davvero unico e originale, che avrebbe meritato sicuramente un maggior seguito e un maggior numero di emuli per svecchiare un pop, quello nostrano, troppo dipendente da modelli stranieri. Resta il piacere di una riscoperta che mi permette finalmente di superare vecchi fantasmi dell'infanzia (ooooooh, oh oh oh oooooooooohhh...)

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