Serata fredda, a Milano.

Proiettata dalla lampada sul muro al fianco, la mia ombra mi vede con gli occhi stanchi. Davanti a me, appoggiato al vissuto tavolo della cucina, un quaderno aperto sull'ultimo esercizio della giornata. Ascolto musica, ho voglia di riscaldarmi; nelle cuffie un penetrante battito, una macchina da scrivere. Nel cuore, ancora quel refolo di magone.

Certe situazioni talvolta si vengono a creare senza che te possa farci niente; per quanto piccole siano, qualcosa ti lasciano; ti sembra si abbia come qualcosa da farsi perdonare, piccola espiazione personale. O, se tanto non riescono, magari ti insinuano quantomeno il dubbio, e allora pensi che delle volte anche i cuori più accesi sono diventati freddi per un destino più grande di loro.

Tratto da un celebre romanzo di Ian McEwen, "Atonement" è il film con cui Joe Wright, giovane e dotato regista d'oltremanica, ha partecipato al recente festival di Venezia, commuovendo non pochi presenti con il suo lancinante racconto di un amore sfumato. Se la protagonista è invero la ragazza, Briony, che con la sua curiosa ingenuità darà corso agli eventi, vero è che sono stati gli occhi tristi della sorella Cecilia a riflettere i miei, umidi di lacrime pronte a solcare le guance pallide che mi ritrovo. Cecilia è Keira Knightley, e questo ha senz'altro il suo peso nel mio (non) lucido scritto. La mia coscritta attrice inglese, dopo il bellissimo "Orgoglio e pregiudizio", questa volta con il meno conosciuto James McAvoy (Robbie), torna a lavorare con il regista per un film più ambizioso e maturo del precedente.

Mi commuovo per un bel film - è giusto sia così. Non so perché io trovi così belli i film di Joe Wright; forse suggestione per un'attrice dal viso angelico, sicuramente emozione. Vero è che parte del merito va ad un compositore pisano, ancora una volta; Dario Marianelli riesce a cogliere l'umidità della campagna nel pallore del sole inglese, scrivendo pagine che odorano di carta consunta dagli anni. Il pianoforte è l'anima dell'amore infelice, i violini sono un canto di brughiera.

La colonna sonora di "Atonement" fugge dalle luminose melodie e dalle vivaci danze del pianoforte che han reso sublimi le vicende che furono di Elizabeth e del signor Darcy e s'insinua in terreni più impervi, in uno stato di perenne attesa. I tasti di avorio vengono percossi dal bravissimo Jean-Yves Thibaudet con pesantezza, le corde degli archi più grossi della "English Chamber Orchestra" sono agitate con gravosità; l'impressione nelle prime fasi, coerentemente con quelli che sono la trama del film e l'intento dell'autore, è quella di un'ambiente chiuso, claustrofobico, per certi versi associabili a certi romanzi della Christie, su tutti il meraviglioso "Dieci piccoli indiani", ambientati del resto negli stessi anni della vicenda. Su questo riverbero d'angoscia, oltre il lamento dei violini, ciò che sconvolge è però il ticchettio agitato, inarrestabile di una macchina da scrivere, artefice insospettabile del tragico evolvere di ciò che era.

Non essendo la recensione del film - peraltro a mio avviso meraviglioso - non reputo questo il caso di addentrarmi in tematiche e vicende; ciò che occorre però dire è che una forza mostruosamente inevitabile condurrà Cecilia, Robbie ed un'inquieta Briony a fare i conti con il proprio destino. La guerra si abbatte sull'Europa con il suo fetore di distruzione; il pianoforte smorza i toni cupi e pesanti e, leggero nel librarsi eppur malinconico, racconta tristemente una storia, lacrime di violino, singhiozzo di contrabbasso. Valga per tutte la citazione di "Elegy for Dunkirk", struggente canto di soldati affranti: la scena che accompagna è di rara bellezza evocativa, suggestione di mille sentimenti.

Quando infine ogni cosa si sarà compiuta, il pianoforte tornerà ad incupirsi. Non s'ode tuttavia più angoscia od attesa, ma ineluttabile malinconia: le note dei violini si fanno molto alte mentre i ricordi tornano ai simboli di quella che poteva essere una dolce felicità e che si è rivelata essere un'espiazione al chiaro di luna. Dissolvenza, ultime lacrime d'avorio.

a mia madre, che ha visto il film con me e che adoro.

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