In lizza per i premi Oscar 2021 in ben sei categorie, tra cui quella di Miglior Film, ''Sound of Metal'' è secondo me un esempio singolare e promettente tra i potenziali vincitori del premio cinematografico più famoso al mondo.

La storia ruota intorno a Ruben, batterista di un duo noise metal, che insieme alla cantante e fidanzata, Lou, gira l’America in camper per le date del tour. La prima scena ci mostra uno sprazzo del concerto, tra le note urlate, il suono dei piatti della batteria, le grida del pubblico. Sono i suoni che, in pochi giorni, Ruben comincia a sentire sempre più lontani e ovattati, sostituiti da un fischio fastidioso e terribile che gli si instilla nelle orecchie – le sue, e quelle degli spettatori, soprattutto se hanno le cuffie, come me. Tra un campo e controcampo del suono, a Ruben viene diagnosticata una malattia che lo porterà a perdere irreversibilmente l’udito: ovviamente incredulo e riluttante ad accettare la notizia, Ruben si informa sulla possibilità di un intervento che gli permetta di tornare a sentire, il cui prezzo però, come gli fa notare amabilmente il buon medico, dovrebbe forse dissuaderlo dall’idea. Quando, dopo l’ultimo concerto, Ruben è costretto a rivelare la verità a Lou, la ragazza è preoccupata anche a causa dell’ex tossicodipendenza di Ruben, che ha avuto una ricaduta proprio a causa dell’evento: il loro manager li mette in contatto con una comunità di recupero per tossicodipendenti sordi, e, dopo un iniziale rifiuto, Ruben accetta di entrare nella comunità, e separarsi da Lou.

Ruben inizia così il suo percorso di…guarigione, se così si può chiamarla, perché, in effetti, l’approccio adottato dalla comunità, e dal suo ‘capo’, Joe, è quello di non considerare la sordità come una malattia, ma, al contrario, con un approccio molto lifestyle medicine, di migliorare la propria vita attraverso l’accettazione della condizione presente, e, soprattutto, evitando ricadute in alcool e droga. Ruben, all’inizio, è isolato, perché ancora con un piede fuori, a metà tra due mondi: in grado di sentire, anche se poco, cerca di comunicare a voce e non con la lingua dei segni, che è invece il metodo di comunicazione usato dalla comunità. Ma il suo percorso di integrazione si sviluppa abbastanza velocemente (beh, è pur sempre un film di due ore): Ruben impara a comunicare con gli altri, partecipa alle attività, fa amicizia, anche con i bambini, a cui insegna a suonare la batteria. Il suono e il ritmo rimangono una parte centrale del film, come dimostra anche un momento simbolico, che rimanda al titolo del film. Proprio per questo, Ruben non riesce a darsi pace: quando vede un’esibizione di Lou, da sola a Parigi, il suo desiderio di tornare a sentire e a suonare riaffiora. Decide così di affrontare il costoso intervento, che, attraverso un impianto cocleare (fonte: wikipedia), è in grado di ripristinare la sua percezione uditiva. Ma questo intervento si scontra con la filosofia di Joe e del suo centro, per cui tornare a sentire non è la soluzione ai problemi, e Ruben è costretto ad andare via.

Ruben vuole tornare da Lou, che si è trasferita in Francia dal padre (non ce la facciamo ad abbandonare la fascinazione per il cliché della ragazza francese e per qualche oui qui e là) sperando di ricostruire il loro futuro insieme, sia come coppia che come gruppo musicale, e su questo si concentra l’ultima parte del film, con un finale che, forse, è piuttosto prevedibile, ed è la logica conclusione del percorso affrontato dal protagonista.

''Sound of Meta''l è un film con una narrazione semplice, lineare e chiara, e in questo capace di presentare al grande pubblico, non solo quello cinefilo, una storia originale, nuova e coinvolgente, che porta sul grande schermo la comunità sorda, non solo nel contenuto, ma anche nella forma, con un uso del sonoro (candidato all’oscar) che vuole mimetizzare le sensazioni uditive dell’abbassamento e della perdita dell’udito, con delle distorsioni acustiche così persistenti che, forse, possono in parte rendere la sensazione di disagio provata da chi ne soffre. Forse uno dei primi film in cui la lingua dei segni diventa parte integrante del dialogo e quindi della narrazione, allo stesso tempo però la decisione di unire la tematica della tossicodipendenza con quella della disabilità crea un accostamento forse un po’ forzato: cioè, se Ruben fosse stato soltanto sordo, senza aver mai avuto problemi di dipendenza, non ci sarebbe stata una comunità ad accoglierlo e ad insegnargli a vivere senza considerarsi uno scarto della società? Ed inoltre, perché mai farsi un intervento per recuperare l’udito equivale a un’iniezione di eroina? Cioè, capisco l’approccio, a livello teorico, ma a livello pragmatico vedo le differenze tra le due soluzioni, e soprattutto capisco il desiderio di un musicista che non vive ai tempi di Beethoven di voler sentire e suonare.

Il tema dell’emarginazione conferisce al film molto del suo potenziale, e l’unione del problema sociale con quello fisico crea una multi-sfaccettatura che è sicuramente interessante, anche se forse più a fini commerciali che intrinseci: il musicista con problemi di tossicodipendenza è un cliché ampiamente sfruttato, che piace sempre, ma con la perdita dell’udito il tema viene rinnovato. O, al contrario, la storia del batterista che perde l’udito è l’idea originale, ma per rendere il personaggio più cinematografico meglio che sia anche un ex tossico. In ogni caso, Ruben (interpretato da Riz Ahmed, anche lui in corsa per l’Oscar) non ricorda il Johnny Cash di ''Walk the Line'', e nemmeno il Kurt Cobain del bellissimo ''Last Days'', o un tormentato e melodrammatico Jackson Maine di ''A Star is Born'', per citare qualche esempio di personaggi del calibro. Per la tematica affrontata, ''Sound of Metal'' mi ha ricordato un po’ ''Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot'' di Gus Van Sant, che avevo già commentato qui in passato, e, senza averlo ancora visto, lol, un forse più estremo ''Ex Drummer'' (che se qualcuno ha visto, faccia un fischio).

Per finire, ''Sound of Metal'' mi è piaciuto molto anche a livello visivo, senza che sappia spiegare bene il perché, ma diciamo che ‘sembra un film indipendente con una produzione buona alle spalle’. Distribuito da Prime Video, dimostra ahimé come Amazon abbia un ottimo fiuto e conferma il suo catalogo uno dei migliori tra le piattaforme digitali presenti in Italia.

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