La sognante melodia di un quartetto d'archi viene squarciata dall'intervento di un violento riff di chitarra, preludio ad una strofa velocissima e guidata da una voce cavernosa. Così si apre "Devoid" debutto dei nostrani Dark Lunacy datato ormai 2000.
Sono dunque passati 7 anni dall'uscita di questo disco che resta tuttavia una delle più brillanti dimostrazioni di come i gruppi Metal Italiani non abbiano nulla da invidiare rispetto ai colleghi stranieri. I Dark Lunacy fecero la loro comparsa sulle scene con questo album, che si guadagnò discreta fama vista l'innovazione che portava fra i suoi solchi. La base da cui i 4 di Parma partono è senza dubbio un Death Metal melodico abbastanza furente nelle sue ritmiche. A questo i Dark Lunacy accostano un quartetto d'archi che li accompagna in ogni brano dando alla musica sfumature emotive e malinconiche non trascurabili e tra l'altro anche una notevole complessità.
"Dolls", l'opener, è forse il brano più conosciuto della band. Costruito su una struttura tipicamente Death Metal, siamo davanti ad un capolavoro fin da subito in cui l'irruenza dei riff di Enomys si fonde perfettamente con la melodia portante che è invece opera degli archi. Su tutto il crudo growl di Mike Lunacy che declama con la dovuta passione uno dei testi più belli che abbia mai letto.
Pregno di atmosfere autunnali e decadenti il disco è un monumento di triste bellezza. E' bene evidenziare che nonostante ciò traspare quà e là un certo calore seppur nostalgico e malinconico che è tipico delle band italiane e che permette a questo splendido gruppo di non cadere in una scontata retorica pessimista (fin troppo diffusa in certi ambiti) ma di spingere piuttosto su una sofferta ma comunque positiva riflessione.
Celebri sono le influenze che la cultura e la storia della Russia hanno lasciato sul cantante Mike Lunacy, e tale passione traspare sia nei testi che nella musica come evidenziato da altri due brani-capolavoro cioè "Stalingrad" e "Forlon" (in cui appaiono nel meraviglioso e trascinante refrain dei cori presi da un vecchio vinile dell'Armata Rossa) entrambe disarmanti per come la violenza sonora non sopprime mai la melodia e la delicatezza delle strutture compostive.
Le due anime del gruppo, l'una rabbiosa e cruda, l'altra melodica ed eterea, convivono in ogni singola canzone creando un quadro di sofferenza che è però carica di vita e di forza e in un certo senso anche di speranza. Ne sono esempio "Varen'Ka", un inno di inaudita potenza forse il brano più pesante del lotto e "Cold Embrace" pregna di orchestrazioni e voci femminili sublimate dal ritornello, intenso e tristissimo. Non mancano in "December" la traccia più oscura del disco influenze per certi versi riconducibili al Doom inglese. Da segnalare anche "Fall" e la sua splendida melodia accompagnata da un solenne coro.
Chiude il disco "Take My Cry" il brano più semplice e diretto. Sorretto da un ritmo Thrash/Death e guidato nel refrain dall'intreccio fra un'eterea voce femminile e il growl esplode in un finale in cui archi, un dolce giro di pianoforte, chitarre e voce si fondono in una dolce e commovente architettura sonora, simbolo di ciò che rappresentano i Dark Lunacy, costantemente in bilico sulla linea di confine tra dolore e speranza.
Si può parlare senza dubbio di capolavoro per il debut dei Dark Lunacy quindi; non c'è nessun momento debole e tutte le traccie anche se ogni tanto troppo prolisse sono a loro modo speciali per le splendide sensazioni che sanno evocare. Un disco che è da monito per tutti coloro che ignorano bellamente la scena Italiana. Qui siamo di fronte ad uno dei gruppi migliori nel suo genere, sicuramente una delle realtà più valide (se non la più valida con i Novembre) in un paese in cui purtroppo in ambito Metal sembra d'obbligo dover parlare di sangue e draghi o riscrivere le canzoni degli Iron Maiden per essere ascoltati da qualcuno.
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