I Dead Can Dance non sono stati solamente gli iniziatori di un genere, ma anche gli interpreti più credibili del filone musicale che è scaturito dal loro avvento nel panorama dark degli anni ottanta.

Dura la vita, quindi, per tutti coloro che decidono di intraprendere la via indicata dalla premiata ditta Perry/Gerrard, dovendosi necessariamente confrontare con monumenti come "Spleen and Ideal", "Within the Realm of a Dying Sun", "The Serpent's Egg": questo perché confezionare lavori che non si limitino a riscaldare i cliché tipici del genere, ed al tempo stesso non evochino, in ogni loro singolo istante, l'impietoso paragone con i Maestri, significa saper camminare, con l'agilità d'un abile equilibrista, su un filo sospeso nel vuoto.

Cadere è facile, ma c'è chi riesce ad arrivare illeso all'altra sponda, e i francesi Dark Sanctuary fanno di certo parte del club. Questo perché i Dark Sanctuary sono un ensemble di musicisti fini e preparati; questo perché la loro musica è un diamante raffinato e ben tagliato, luminoso ed abbagliante nel suo nero splendore.

Nel 2000, con "De Lumière et d'Obscurité", i francesi pervengono al loro secondo appuntamento discografico: un lavoro in grado di polverizzare un debutto tutto sommato trascurabile e spalancare le porte della notorietà. Critica e pubblico, negli anni a seguire, faranno a gara nell'elogiare questo astro nascente della musica gotica, astro che continuerà a brillare con lavori sempre di valore eccelso. Doveroso, a tal riguardo, citare almeno "L'être Las - L'Envers du Miroir", "Les Mémoires Blessées" (probabilmente il capolavoro assoluto) e la prima parte di "Exaudi Vocem Meam".

Sebbene i Nostri saranno in grado di crescere e raffinare ulteriormente la loro arte, questo "De Lumière et d'Obscurité" si presta alle nostre orecchie come un lavoro estremamente maturo, elegante nelle forme, levigato nei suoni, ispirato nei componimenti: ben 72 minuti dura "De Lumière et d'Obscurité", eppure nemmeno per un momento avremo l'impressione che il tutto sarebbe dovuto durare un istante di meno.

Perché la musica dei Dark Sanctuary si muove ed evolve senza fretta alcuna, come se provenisse da una dimensione in cui il tempo ha cessato di avere rilevanza sulle cose. Il ticchettio della pioggia, uno scampanio in lontananza, note che scivolano nell'aria, incorruttibili, pure, inviolate, come raggi di tenebra che gradualmente riempiono al crepuscolo la stanza angusta che ci separa dal mondo e dalla vita: una musica da camera sospesa fra sogno e realtà, suonata in un non-luogo d'avorio e lucente marmo, le cui nere venature disegnano gentili i contorni di un'anima sensibile e delicata condannata a scontare una pena eterna.

Angeli di pietra, dall'alto delle loro postazioni, assistono imperturbabili al volteggiare celeste di queste note che inebriano l'ambiente di pudico romanticismo: maestosi passaggi d'organo, l'intrecciarsi dolente dei violini, il tocco malinconico del pianoforte.

Di tanto in tanto una chitarra acustica, il fluire incantato di una cornamusa, il trottare solenne delle percussioni a mano: i sei musicisti, ciascuno secondo il proprio estro, modellano un sound composito ed aggraziato che riluce della coralità e del perfetto equilibrio di menti e cuori che confluiscono miracolosamente come se la musica dei Dark Sanctuary fosse un'entità unica ed inscindibile.

Su tutto si erge il canto sconsolato della fantastica Marquise Ermia, musa dolce ed affranta che tesse il suo fragile lamento come vittima di un incantesimo, al di là dei riflessi opachi di una campana di ghiaccio che le fa da eterna prigione: soliloqui impalpabili, i suoi, persi nell'eco di stanze lontane dal mondo, vocalizzi eterei che si confondono con lo scrosciare della pioggia, con il fluire funereo dell'organo, con la solennità dei cori, dei fiati e degli archi.

La sua voce si sdoppia, si triplica, si moltiplica stemperandosi in armonie struggenti, in intrecci che rasentano la perfezione, tanto il peso di ogni variazione tonale sembra divenire fondamentale nell'architettura complessiva delle melodie.

La lingua francese non fa che conferire ulteriore fascino alle composizioni, che di tanto in tanto amano macchiarsi dell'arcana solennità della lingua latina.

Il superbo crescendo finale della title-track (da brividi gli svolazzi della marchesa, la cui voce precipita obliqua come il volo moribondo di farfalle che muoiono nel vento e cadono nel vuoto) o l'incalzante mantra canoro di "Cet En fer au Paradis" (l'episodio più vivace, quello che più di tutti richiama l'estro della grande Gerrard) sono esempi che dimostrano come non bastino un organo e due rintocchi di campana per "fare atmosfera": in un genere come questo, a fare la differenza è proprio la volontà di non fermarsi alle tipiche ambientazioni dell'immaginario gotico, e la capacità di saper andare oltre, tessere arie realmente belle, ispirate, capaci di rapire in ogni loro singolo risvolto, in ogni loro fremito, in ogni loro caduta e rinascita.

Percorsa da un indissolubile filo di malinconia, la musica dei Dark Sanctuary è una elegante perlustrazione, fra luci ed ombre, dei luoghi più nascosti e reconditi dell'anima. Una musica che sa essere al contempo ricca di pathos (la sontuosa "La Chute del'Ange") e riflessiva (l'inquietante "Ordre et Décadence", dove temibili strofe in latino vanno a sposarsi con un dissonante tappeto di loop industriali). Appunto perché le pene del condannato vanno a braccetto con la meditazione sulle stesse in rapporto a quel che è stato: l'eternità è una strada percorsa a ritroso, fra rimorsi e rimpianti, volta a sondare le fatalità e gli errori che solo la saggezza della Morte e del Dolore sanno rivelarci.

Il viaggio si conclude con il giusto tributo ai Maestri, proprio con quella "Summoning of the Muse", vergata Perry/Gerrard, che ritroviamo nel leggendario "Within the Realm of a Dying Sun". Il cerchio si chiude, quindi, ci troviamo finalmente al principio di tutto: i Dead Can Dance, il cui spirito emerge dalle note di questa bellissima cover (assai fedele, devo dire), si confermano i padri incontrastati del genere.

Ciò non toglie che i Dark Sanctuary, con dedizione, passione ed un talento melodico fuori dal comune, dimostrino non solo di saper incantare con una musica realmente ispirata, ma anche di saper reinterpretare un genere, iniettandovi freschezza, ampliandone gli orizzonti, arricchendolo di nuove sfumature, rileggendolo sotto una nuova luce.

O, potremmo dire, in una nuova oscurità ...

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