Gli amanti delle sonorità gothic di tipo sinfonico conosceranno sicuramente i Dark Sanctuary. Il loro album "Les Mémoires Blessées" del 2004, quarto della loro discografia, può essere considerato un notevole passo avanti rispetto agli altri, essendo strutturato con una complessità e maestria invidiabile, e soprattutto essendo intriso di un'eterea, solenne, dolce e disarmante tristezza. La cantante, Dame Pandora, è dotata di una voce stupenda e cristallina, profonda quanto basta e soprattutto magnificamente melodica e cullante, che ci accompagna di volta in volta attraverso boschi le cui fronde non lasciano filtrare la luce, antiche cattedrali gotiche dimesse, cimiteri campestri con le lapidi ricoperte dal verde muschio.

La prima traccia "Le Clameur Du Silence" lascia basiti. Dotata di un pathos a tratti ammaliante, la canzone si impernia per la quasi totalità sulla voce della suddetta cantante, a tratti supplichevole, altre volte più diretta e narrativa, e su un pianoforte maestoso e tristissimo. Il tutto crea un'atmosfera quasi sacrale, e la canzone conquista subito al primo ascolto, tagliando le gambe e ammaliando immediatamente.

Non tutte le successive dodici tracce sono dotate della stessa bellezza della prima, ma emergono comunque alcuni pezzi notevoli. Degna di nota è infatti "Présence", più mistica e animata rispetto alla precedente, in grado di ricreare un quadretto campestre di una domenica mattina in un piccolo villaggio, con la nebbia che ancora invade, leggera, le strade e le persone che, lentamente, si incamminano verso la chiesetta sullo sfondo per celebrare le canoniche funzioni domenicali, edificio dalle cui porte aperte si diffonde un soave organo e le cui campane richiamano a sé i popolani.

"D'Une Mère à Sa Fille" riprende molto la prima canzone, soprattutto nella struttura base voce - piano - tastiere. Colpisce forse per la sua grande intensità, dai tratti molto più funerei e maestosi, arricchiti dalle percussioni nella seconda parte, ad aumentare una tensione già di per sé molto alta.

Molto simile alle precedenti è pure "Abre Los Ojos", ispirata all'omonimo film di Amenabar, traccia che si risolleva però nel finale sinfonico e magnificente.

Di diversa fattura è l'ottava "Laiseez Moi Mourir", guidata dalle percussioni tribali e scandita da un ritmo molto più medievaleggiante rispetto alle precedenti e successive, un ottimo pezzo che stacca un po' dalla canonica struttura fin qui sempre proposta.

Finirei solo citando altre tre tracce, "Puisses-Tu...", "L'Instant Funèbre" e la conclusiva title track, quest'ultima interamente strumentale e lacerante nella sua semplicità, un vero e proprio addio dalle tinte fosche e tristissime.

Il disco ha due difetti: la lunghezza, forse eccessiva, e una certa mancanza di varietà, che a un certo punto porta a raggruppare tutte le canzoni sotto al massimo tre strutture principali. Questo secondo difetto è correggibile solo ascoltando molto l'album, diventandone così padroni e riuscendo in questo modo a apprezzarlo in ogni sua singola sfaccettatura.

Se fosse composto da un minor numero di pezzi, magari quelli qualitativamente più importanti, sarebbe un'opera da massimo dei voti, ma minata come è dalle due suddette pecche il giudizio scende leggermente. Ciò nonostante il disco è una vera gemma, appassionante, pregna di significati, dotata di ottime liriche, un gothic sinfonico che farà la felicità non solo degli estimatori di questo genere, ma anche di chi è attratto da certe sonorità in bilico tra folk, gothic, atmosfere medievali e melodia, tanta melodia.

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